22 Ottobre 2024
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Mamma li Turchi. Quattro secoli di resistenza veneta all’Impero Ottomano e i “segni” di Lepanto a Venezia

Mamma li Turchi!

La storia della Repubblica di San Marco è tutta un susseguirsi di vicende militari per la conquista dei mercati e dei domini, quelli mediterranei, e le rotte verso l’Oriente. Soprattutto è una lotta per la sopravvivenza. Le fortune di Venezia gravitano, da sempre, sul mare. E sul mare, in modo particolare, il confronto più lungo, più aspro, più accanito è quello con i Turchi Ottomani. Venezia li combatte per quasi quattro secoli.

I rapporti fra i due contendenti non sono mai stati semplici e l’avanzata dei Turchi nel bacino del Mediterraneo determina inevitabilmente lo scontro con la Serenissima. Sarà uno scontro inevitabile, lungo e aspro.

Una lotta secolare

La lotta con il secolare nemico si trascina con alterne vicende: si accende periodicamente e si esaurisce solo nel secondo decennio del 700 (di fatto con la perdita della Moréa – il Peloponneso — tra il 1714 e il 1718) non tanto perché sono venute meno le ragioni del contendere, quanto perché le forze dei due avversari si sono esaurite.

C’è da dire che i rapporti tra Venezia e i Turchi sono ambivalenti. I due contendenti nei periodi di non belligeranza hanno rapporti commerciali e la Repubblica di Venezia concede (a partire dal 1621) un fondaco (una serie di magazzini e di depositi) tra i più prestigiosi.

Venezia, il Fontego dei Turchi sul Canal Grando. Foto di Flyax, CC BY-SA3.0

Segno che la ragione dell’utile prevale su inimicizie, rancori, desideri di vendetta dell’uno sull’altro. E la “moda alla turca” trova ammirazione e lascia spazio e testimonianza nei costumi, nei soggetti di quadri, in musiche, o anche in cose molto particolari come i bagni e .. i servizi igienici.

La resistenza all’espansionismo turco

Quindi non solo guerra, e guerra dura, ma anche periodi di non guerra, di incontri, di scambi commerciali, di reciproca pacifica competizione mercantile. Comunque estenuanti, logoranti e sanguinose sono le lotte contro l’espansionismo turco, dilagante dall’Asia verso l’Europa, ed in questa resistenza sta uno dei più palesi meriti della Serenissima.

Nonostante tanta fermezza, i Turchi predano sistematicamente, ad uno ad uno, territori strategicamente importanti per Venezia, malgrado l’effimero acquisto di Cipro, “dono” di Caterina Cornaro alla Serenissima.

La diplomazia veneziana

Dove non riesce l’uso della forza, Venezia può contare su un’altra arma più
raffinata, di tipo dialettico, più sofisticata, quella di un’affinatissima diplomazia, di una sagace capacità di informazione preventiva e propositiva da parte di una rete (simile a quella di una ragnatela tessuta con pazienza e abilità) di ambasciatori e di rappresentanti, sostenuta da un non trascurabile esercito, da una ragguardevole flotta sul mare, da avamposti fortificati che controllano le rotte mediterranee e fissano lo “status quo marinaro” in essere.

La possente fortezza veneziana di Palamidi, a Nauplia, nel Peloponneso (Foto di Angela Monika – Arnold Berlin, CC BY 3.0)

Con la seconda metà del 500 inizia un lento, ma inesorabile declino della potenza di Venezia, mitigato dalle enormi ricchezze che la Repubblica di San Marco ha saputo far giungere in laguna dall’Oriente. Ma la scoperta della “Via delle Indie” incanala il traffico commerciale verso le coste occidentali dell’Europa, del Portogallo e della Spagna in modo particolare.

Baluardo dell’Europa contro i Turchi

Questa via sottrae il monopolio dei commerci con l’Oriente a Venezia e a Venezia non rimane che condurre – senza limiti – la sua missione di baluardo di difesa dell’Europa contro i Turchi.

È in questo contesto che i motivi di guerra con gli Ottomani non tardano a presentarsi alla Serenissima con maggiore violenza rispetto al passato. Il Sultano Selim II, con un
comportamento ambizioso e profferte subdole di pace alla Serenissima, inaspettatamente informa il governo di Venezia che l’isola di Cipro gli spetta “di diritto”.

L’invasione di Cipro

Cipro viene invasa nel 1570 e cade in mano turca dopo cinque mesi di assedio nonostante l’eroica difesa di Famagosta guidata da Marcantonio Bragadin, comandante della fortezza. La resistenza costa in termini di vite umane migliaia di uomini ai Turchi. E Lala Mustafà, generale turco, violando cinicamente i termini della resa, si vendica ferocemente. Dopo atroci torture, Marcantonio Bragadin viene scuoiato vivo e il destino dei sopravvissuti è tragicamente doloroso: donne e bambini sono venduti schiavi, gli uomini incatenati ai remi delle galee turche.

Venezia, chiesa di San Zanipolo. Monumento e urna con la pelle di Marcantonio Bragadin. Foto di Didier Descouens, CC BY-SA4.0

Siamo nel 1571 e diventa inevitabile lo scontro diretto. L’ora della battaglia frontale è arrivata. Sarà una lotta feroce perché è in gioco il controllo del Mediterraneo. È domenica il 7 ottobre 1571, festa di Santa Giustina, da sempre patrona della Serenissima. A Lepanto si fronteggiano le flotte mussulmane dell’impero ottomano e quelle cristiane federate nella Lega Santa, sotto le insegne pontificie e benedette da papa Pio V.

Al comando di Giovanni d’Austria

È impegnato il fior fiore della nobiltà europea al comando di Giovanni d’Austria (fratello di Filippo II re di Spagna). La Lega Santa comprende l’armata veneziana, la spagnola e quella pontificia accanto agli alleati che hanno risposto all’appello del Papa : il duca di Savoia, l’Ordine di Malta, il Granducato di Toscana, la
Repubblica di Genova, il duca di Urbino, il duca di Parma.

Venezia riesce ad istituire una organizzazione tale da competere alla pari con lo smisurato impero ottomano.

La poderosa flotta veneziana

L’apporto della Repubblica di San Marco è determinante per allestire una delle più poderose flotte dell’epoca : 208 galee (di cui 110 veneziane e 6 galeazze, pure esse uscite dall’arsenale veneziano, che, più alte, più pesanti e grosse delle galee, sprigionano dai cannoni posti sul castello di prua una quantità di fuoco concentrato tale da sparigliare e travolgere la flotta avversaria).

La battaglia navale di Lepanto, presso il golfo di Patrasso e l’istmo di Corinto, è un capolavoro dell’indubbio valore strategico e dell’ampiezza di visione dei
due comandanti veneziani, Sebastiano Venier e Agostino Barbarigo.

Il terribile scontro di Lepanto

Il bilancio dello scontro è terribile, 62 unità ottomane affondate, 117 catturate e molte fatte arenare a forza, da 20 a 30 mila Turchi tra morti e feriti, più 3486 prigionieri e 15 mila schiavi cristiani liberati; dalla parte della Lega Santa, 7500 morti, dei quali ben 4700 veneziani, e 20 mila feriti. La testa dell’ammiraglio turco Ali è infilzata sopra una picca, ma il provveditore veneziano Agostino Barbarigo, comandante dell’ala sinistra della flotta, è stato ucciso da una freccia.

Tintoretto, Battaglia di Lepanto. Modello del dipinto realizzato a Palazzo Ducale, distrutto nell’incendio del 1577

L’armata veneziana ha contribuito in modo determinante alla vittoria che suscita profonda risonanza in tutta Europa e corona l’attività politica della Serenissima contro l’impero ottomano, perseguita da tanto tempo e a prezzo di duri sacrifici.

100mila ducati per iscriversi al patriziato veneto

Con questa vittoria Venezia riesce ad impedire ai Turchi di impadronirsi del Mediterraneo, anche se lo stillicidio delle guerre continua per quasi due secoli ancora, con gravissime conseguenze per le casse dello stato, e nonostante i
continui rimpinguamenti “in solido”operati con nuove iscrizioni al patriziato.

Le guerre costano cifre assai importanti ed essenziali, e per sanare le casse esauste si deve ricorrere ad inevitabili e vitali rimedi : l’esborso di 100 mila ducati per entrare a far parte del patriziato.

E le nuove “casate fatte patrizie per soldo” aumentano in Maggior Consiglio, fulcro del potere politico della Repubblica di San Marco. Tornando a Lepanto, è da dire che la vittoria è salutata con grandi feste in laguna.

Le feste all’annuncio della vittoria

La gente (all’annuncio della vittoria) si riversò nella piazza e nei campi con gioia, senza riguardo a condizione e ad età, si abbracciava e si stringeva con effusione … si chiusero tutte le botteghe, applicandovi i cartelli con l’indicazione “Chiuso per la morte dei Turchi”(!) … Tutte le campane suonarono a festa e il Doge (Alvise I Mocenigo) scese in San Marco (chiesa palatina) ove si intonò un inno di ringraziamento e sicelebrò una messa solenne con grande musica e grande illuminazione di ceri …

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Furono fatte solenni processioni, con fuochi e suono di campane … e i Veneziani, che attribuiscono alla Vergine il successo navale, stabilirono di innalzare nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo una Cappella col titolo “del Rosario” … Si celebrarono esequie con orazioni di memoria di quanti “avevano sacrificato la loro vita per la salvezza della patria. (cfr. N. Battaglini, Fogli volanti di Storia Veneta, 1880).

Lepanto nell’arte e nella letteratura

L‘arte e la letteratura celebrano a lungo la data del 7 ottobre 1571 ed i
protagonisti. Ne fanno testimonianza famose tele in Palazzo Ducale (nella Sala dello Scrutinio in particolare una grande tela di Andrea Vicentino), nel 1582 la costruzione della Cappella del Rosario ai SS. Giovanni e Paolo e altre numerose opere fatte un po’ ovunque nella città a ricordo dell’avvenimento.

Il 7 ottobre 1571 resta una delle date più esaltanti nella storia della Repubblica Serenissima: Venezia riesce a superare con una grande azione militare l’incubo che incute la potenza turca, una forza inesorabile che ha tutti i caratteri delle secolari guerre di religione, sfatando l’invincibilità del nemico più pericoloso che essa abbia avuto.

Una vittoria non sfruttata: Cipro perduta per sempre

Purtroppo i contrasti tra Spagna e Venezia non permettono di sfruttare adeguatamente la vittoria. Prevalgono i dissensi, mancano gli accordi fra i vincitori alleati; le beghe,le divergenze tattiche e strategiche li dividono.

Fatto sta che non si concretizza alcun serio impegno per liberare Cipro dai Turchi per restituirla a Venezia. Così la Serenissima il 7 marzo 1573 firma una pace
separata con Selim II. Cipro è perduta per sempre. E Venezia, artefice principale della vittoria a Lepanto, ne ricava il vantaggio minore. Lepanto, pertanto, segna l’inizio di una lentissima decadenza, anche se la Serenissima rimane una potenza europea e una capitale di straordinario splendore.

Sebastiano Venier (1496 c. – 3 marzo 1578 )

Sebastiano Venier è tra i personaggi più caratteristici e rilevanti nella millenaria vita della Repubblica di San Marco. Figura cristallina, dal temperamento inflessibile e tenace, accorto e determinato nelle sue decisioni, è il grande condottiero cui Venezia ricorre quando la pressione turca su Cipro minaccia di travolgere l’impero veneziano di Levante. Dotato di notevole ingegno, organizzatore infaticabile della flotta veneziana, prepara la battaglia di Lepanto nei minimi dettagli.

Andrea_Vicentino,_ritratto_del_doge_Sebastiano_Venier,_1577

Precedentemente, prima di essere nominato Capitano da mar il 13 dicembre 1570,
ricopre vari incarichi che espleta con competenza, sagacia ed autorevolezza. Quindi la sua è una intensa carriera diplomatica improntata sempre da serietà, impegno, soprattutto lo accompagna la fama di una istintiva innata rettitudine. È anche governatore di Candia.

A Lepanto sulla galeazza capitana

A Lepanto, a 75 anni, lo vediamo, a capo scoperto, con lo scettro di comando nella mano
sinistra davanti al càssero di poppa della galeazza “capitana” veneziana : così appare nella già citata tela di Andrea Michieli detto il Vicentino. Lui, Sebastiano Venier, sulla destra; dalla parte opposta, a sinistra, sulla nave ammiraglia turca, Ali Pascià, che verrà ucciso in combattimento.

Andrea Vicentino, La battaglia di Lepanto

Il dipinto del Vicentino (m. 5,20 x 13.90) “fotografa” la micidiale battaglia
navale cogliendo uno dei momenti più drammatici nel corso del suo evolversi, caratterizzato da un formicolio di uomini belligeranti delle due parti, in lotta fra loro, in furiosi e sanguinosi corpo a corpo, un ammasso scomposto di mezzi, di armi, di spade, di archi, di frecce, di balestre, di mazze, di uomini in mare, morti e affogati, un cozzare di remi, di navi, di labari e di insegne, in una atmosfera caliginosa, fatta di fumi, di grida, di comandi, di colpi di artiglieria. Una vera bolgia infernale dantesca.

Sebastiano Venier, la “casetta” a Santa Maria Formosa

Proveniente da una delle famiglie aristocratiche più antiche di Venezia (XI° sec.), Sebastiano Venier non ha grandi risorse economiche, non ha un palazzo degno di questo nome in cui abitare. La sua è poco più di una “casetta” (costruita nel XV secolo) che possiamo ancora vedere in Campo Santa Maria Formosa contraddistinta da una targa murata che dice “Questa è la casa di Sebastiano Venier vincitore di Lepanto”.

Ca’ Donà in campo Santa Maria Formosa, a Venezia, casa natale di Sebastiano Venier (foto di Alvise Fontanella)

Proverbiale è la sua modestia. Come bottino di guerra trattiene per sé solo 205 ducati, 2 lire e 6 soldi, un filo di coralli e “due schiavi negri appena buoni per vogare in gondola”. Il 4 giugno 1577 muore Alvise I Mocenigo, doge eletto nel pieno della guerra di Cipro e anche della vittoria di Lepanto. La successione è scontata.

Sebastiano Venier eletto Doge all’unanimità

Nel giro di una settimana, l’1 giugno 1577, i “Quarantuno del conclave” all’unanimità, fanno convergere sul vincitore morale di Lepanto tutti i loro voti. Se la merita, certo, l’ottantunenne Sebastiano Venier, quella elezione plebiscitaria.

Se l’era guadagnata soprattutto per l’abile e faticosa tessitura diplomatica, per la riorganizzazione in qualità di Capitano generale da mar della flotta veneziana, per la preparazione degli equipaggi, per la caparbietà e la risolutezza nel voler contrastare con ogni mezzo la pericolosa strategia di conquista del Mediterraneo da parte dei Turchi mussulmani.

Palazzo Ducale brucia, Venier muore di crepacuore

La salute è malferma, è claudicante, ha un timbro di voce molto debole. Il 20 dicembre dello stesso anno, uno spaventoso incendio devasta, nel Palazzo Ducale, le sale del Maggior Consiglio e dello Scrutinio. Le fiamme divorano l’affresco del Guariento (sopra la tribuna della sala del Maggior Consiglio), le tele di Tiziano, Bellini, Carpaccio, Tintoretto, Veronese. Il dolore è tale che Venier muore di crepacuore.

Questo è Sebastiano Venier : un comandante attento, un organizzatore abile, soprattutto una persona onesta e sensibile lungo tutto il corso della sua vita. Viene sepolto a Murano nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. Nel 1907 il suo corpo viene tumulato nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, nel “pantheon” delle glorie veneziane ( né poteva essere diversamente. ) alla presenza della Regina Elena,
consorte di Vittorio Emanuele III, re d’Italia.

I segni di Lepanto a Venezia: la Madonna di Lepanto

La Serenissima ha sempre manifestato una profonda devozione verso la Madre di Cristo. E l’evangelizzazione di Marco nell’area lagunare e nelle terre della pianura veneta, a partire dal III secolo, ha favorito una particolare venerazione per la Vergine Maria. Tanto da far coincidere la nascita di Venezia, il 25 marzo 421, con l’Annunciazione, riconoscendo nella madre di Cristo la prima patrona della nuova comunità veneta (“Unde origo inde salus”).

L’arrivo nel IX secolo delle spoglie mortali di San Marco determina una sovrapposizione della devozione dell’Evangelista, tanto da affidargli un primato religioso, ma anche sociale : San Marco viene elevato a vessillo dell’identità di una città, di un popolo, quello veneto-veneziano.

La chiesa di Santa Maria Formosa

Comunque la devozione della Madre di Cristo si traduce in tanti modi e in tante manifestazioni, soprattutto nell’erezione di numerose chiese e santuari nell’intera area veneta. E a Venezia-città molte sono le chiese a Lei dedicate, a dimostrazione di una “pietas mariana” profondamente radicata nell’animo di un popolo “libero e cristiano”. A due passi dalla casa di Sebastiano Venier, nell’omonimo campo, sorge la chiesa di Santa Maria Formosa.

Venezia, Campo e chiesa di Santa Maria Formosa. Foto di Abxbay, CC BY-SA3.0

La tradizione vuole sia stata una delle prime otto chiese fondate nella laguna veneta da San Magno, vescovo di Oderzo, tra il 638 e il 670. Nella “Origo Civitatum Italiae seu Venetiarum” (Chronicon Altinate et Chronicon Gradense) del sec. IX, si legge: “ad honorem Sancte Dei Genitricis Semperque Virginis Maria que Formosa ecclesia appellatur. Probabilmente la chiesa è una semplice capanna fatta di tavole e di fango, coperta di paglia. Ed è la prima ad essere dedicata alla Madre di Cristo nelle isole del Rivoalto.

Mater consolatonis o Madonna di Lepanto

L’attuale chiesa è opera di Mauro Codussi (1440 — 1504 ) che pone la prima pietra il 1 giugno 1492. Presenta una pianta a croce greca (come la Basilica di San Marco) con cupola all’incrocio dei transetti.

Il piccolo altare della Madonna di Lepanto nella chiesa di Santa Maria Formosa a Venezia. Foto di Milo Boz.

Sotto l’organo, in una edicola appositamente predisposta, è collocata una icona che riproduce una Madonna, detta “della Consolazione”, con bambino, rappresentazione antichissima nell’arte bizantina. È databile al XVI secolo, opera di Nicolaus Safuris (di scuola veneto-cretese).

Madonna di Lepanto, Mater Consolationis. L’icona stava nell’ammiraglia veneziana a Lepanto, nella cabina di Sebastiano Venier. Ora è nella Chiesa di Santa Maria Formosa a Venezia

L’icona sulla galea ammiraglia veneziana

Tecnica : tempera su tavola. L’icona è detta anche MADONNA di LEPANTO. A distanza di
450 anni, ancora oggi ci ricorda l’epica battaglia e tutti i suoi protagonisti, cristiani e
mussulmani, ma soprattutto la devozione di un uomo che affida all’ immagine della Madre di Cristo – sulla galea ammiraglia della flotta veneziana – le sorti di migliaia di uomini e dei loro destini. Quest’uomo è Sebastiano Venier, Capitano da mar e stratega vittorioso in quel fatidico scontro. L’icona è stata successivamente donata alla chiesa, dedicata alla Vergine, dagli eredi della famiglia Venier.

La chiesa di San Zanipolo, il pantheon veneziano

Nel Sestiere di Castello diverse sono le testimonianze presenti nel tessuto viario che ci
ricordano avvenimenti e personaggi la cui storia è collegata a Lepanto. La chiesa dei SS. Giovanni e Paolo (martiri del III sec), popolarmente detta di San Zanipolo, costituisce con quella dei Frari il più grandioso esempio di architettura gotica sacra veneziana, pantheon dei principi e degli eroi della Serenissima. Qui è sepolto l’eroe di Lepanto, Sebastiano Venier.

Venezia, chiesa di San Zanipolo. Foto di Didier Descouens, CC BY-SA4.0

La cappella del Rosario, ricordo di Lepanto

Qui c’è il monumento con l’urna che custodisce la pelle di Marcantonio Bragadin, martire di Famagosta (Cipro), scuoiato vivo dai Turchi (17 agosto 1571), letteralmente rubata nell’arsenale di Costantinopoli ove si trovava come trofeo di guerra.

Soprattutto qui c’è la Cappella del Rosario, sede della Scuola di Devozione dedicata a Santa Maria del Rosario, istituita nel 1575 e costruita tra il 1582 e il 1608 su progetto di Alessandro Vittoria.

Venezia, Chiesa di San Zanipolo, Cappella del Rosario eretta in ringraziamento della vittoria di Lepanto

Una cappella voluta dai Veneziani in ringraziamento alla Vergine del Rosario per la vittoria sui Turchi ed arricchita da un prezioso apporto artistico da parte dei grandi maestri veneti del 500 : Tintoretto e il figlio Domenico, Palma il Giovane, Francesco Bassano, Tiziano, Bellini. Un autentico gioiello, una teca di capolavori della cultura figurativa della scuola pittorica veneta. Purtroppo nella notte del 16 agosto 1867 un incendio devastante distrugge quasi completamente la struttura con il relativo prezioso rivestimento artistico.

Palazzo Bragadin in Barbaria de le tole

Proseguendo in questa sorta di pellegrinaggio storico, nella vicina Barbarìa de le tole (dove si piallavano, togliendone le “barbe”, le tavole di legno
ammassate poi nei numerosi depositi sistemati sul bordo della Laguna Nord), è ancora visibile quanto resta del quattrocentesco Palazzo Bragadin con un portale ed una immagine che rappresenta l’eroe di Famagosta che qui abitava.

Venezia, palazzo Bragadin in Barbaria de le tole (foto di Abxbay, CC BY-SA3.0). L’effigie di Marcantonio Bragadin sopra il portone.

Un po’ più in là si incontra la facciata monumentale della ex-chiesa di Santa Giustina (di Baldassarre Longhena) del XVII sec., soppressa nel 1810 e oggi trasformata in edificio scolastico. Sappiamo che la Santa discendente da una distinta famiglia padovana e martire dell’ultima grande persecuzione dioclezianea degli inizi del IV sec.) era amata dai Veneziani che l’hanno annoverata tra ipatroni della città.

Santa Giustina e le monete d’argento

Alla chiesa era annesso anche un convento di monache. Il 7 ottobre, commemorativo della Santa, ma anche della vittoria di Lepanto, il Consiglio dei Dieci decide allora di ricordare lo straordinario avvenimento sostituendo la raffigurazione di “Venezia seduta sul leone” con una nuova immagine raffigurante Santa Giustina sulle nuove monete da 40 soldi.

Repubblica di Venezia, moneta da 40 soldi con Santa Giustina, Alvise I Mocenigo Doge, argento

E il Doge ogni anno, il 7 di ottobre, visita la chiesa e dona alle monache delle monete d’argento, le “Giustine” appositamente coniate: D/ S. M. VENETVS ALOY MOCE. R/ MEMOR ERO TVI IVSTINA VIRGO ( E' Doge di Venezia Alvise I Mocenigo, “Mi ricorderò di te, Vergine Giustina”).

Le oselle di Alvise Mocenigo e di Sebastian Venier

L’OSELLA (“Principis munus”). È il 1521 e inizia con il 76° Doge, Antonio Grimani, la coniazione della prima “Osella”, dono del Doge (“Principis munus”) ad ogni N.H. (Nobil Homo) del Maggior Consiglio, patrizio “abile” veneziano, nato da matrimonio legittimo e di età superiore ai 25 anni.

E tra le 275 oselle (una per ogni anno) coniate dalla Repubblica di San Marco, ricordiamo quella del 1571 (di Alvise I Mocenigo) e quella del 1577 (di Sebastiano Venier), due preziosi documenti, due testimonianze storiche d’ argento attinenti lo scontro di Lepanto.

Le iscrizioni sulle oselle

L’osella di Alvise I Mocenigo (Anno II, 1571) ci ricorda: D/ S. M. VENETVS ALOY MOCEN ANNO II R/ MDXXI ANNO MAGNAE NAVALIS VICTORIAE DEI GRA CONTRA TVRCAS (Anno 1571, per Grazia di Dio, grande vittoria navale contro i Turchi).

Repubblica di Venezia, Osella del Doge Sebastiano Venier, 1577

L’unica osella di Sebastiano Venier (Anno I, 1577) viene coniata ispirandosi ad una lettera di San Paolo agli Efesini: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati”. D/ SEB VENERI() PRIN MVNVS A I RI + 1177 MAGNA DEI MISERICORDIA SVP(er) NOS. Sul dritto : San Marco porge il vessillo al Doge genuflesso con una palma nella mano destra; sopra il Doge, una mano porge sul capo il corno dogale. All’ intorno nella “legenda”: Dono del Principe Sebastiano Venier Anno I. Sul rovescio: Grande è la misericordia di Dio sopra di noi.

Sebastiano Venier in Palazzo Ducale

Il Capitano da mar è immortalato da Paolo Veronese in uno degli ambienti più suggestivi di Palazzo Ducale, nella Sala del Collegio, luogo di massima rappresentanza della Repubblica Serenissima. Lo vediamo rappresentato in una tela sulla parete, sopra il trono dogale e la tribuna, rivestito di corazza e del manto da capitano generale della flotta veneziana, in ginocchio davanti alla Fede e a Santa Giustina, in atto di ringraziare il Redentore, tra una folla di santi patroni (tra cui San Marco) e di angeli, uno dei quali brandisce lo stendardo della Lega Santa, trionfante nelle acque di Lepanto. Degna collocazione per un grande uomo.

L’Arsenale

Concludo questo mio excursus storico partendo dal luogo dove tutto è iniziato, dove nel 1571 è stata approntata una flotta di oltre cento galee, l’Arsenale, l’Arzanà de’ Viniziani, dal grande cantiere navale della Repubblica di Venezia, dimostrando una produttività che appare quasi incredibile nell’Europa pre-industriale.

La catena di montaggio

Se i Veneziani possono costruire in breve tempo un numero così grande di navi è grazie ad un metodo di lavoro molto razionale, sviluppato nel Medioevo, ed evoluto fra 500 e 700, nel quale, come in una ideale catena di montaggio, tutti i passi della lavorazione devono essere eseguiti in un ordine preciso in varie officine all’interno dell’Arsenale.

Le navi nascono per intero nell’Arsenale, dalla costruzione dello scafo al calafataggio, dalla cucitura delle vele e dalla torcitura delle funi all’equipaggiamento con armi e vettovaglie. 25 ettari di superficie con un numero di lavoratori che raggiungono anche i 16mila occupati nel periodo del massimo sforzo produttivo.

Il portale monumento alla vittoria di Lepanto

Sontuoso è il grande portale per via di terra, quasi un gigantesco arco di trionfo, opera di Antonio Gambello (1460) sotto il dogado di Pasquale Malipiero, di severa ispirazione classica, con cui il Rinascimento fa il suo primo apparire a Venezia. Sull’architrave corre l’iscrizione: “VICTORIAE NAVALIS MONIMENTVM MDLXXI“. La statua sul timpano rappresenta Santa Giustina, patrona di Venezia (1578).

Venezia, Porta di terra dell’Arsenale e Porta d’acqua sul rio dell’Arsenale. Foto di Gary Houston, CC BY-SA3.0

Conclusione

C’è una netta linea di demarcazione nella plurisecolare storia della Serenissima. Essa è consegnata nei fatti ad una data precisa : è il 1453. Le fortune della Repubblica di San Marco cominciano a declinare lentamente, ma senza dubbi inesorabilmente, nell’anno in cui i Turchi prendono Costantinopoli.

Anche se i Veneziani si affrettano a stipulare trattati con nuove potenze emergenti, la situazione non è e non sarà più quella di prima. Il prezzo pagato è alto. Le conquiste di mare e di terra hanno richiesto un grande dispendio di mezzi e di capitali, mentre la crescita territoriale e commerciale della Serenissima è guardata con ragionevole sospetto da tutta Europa.

E l’Europa sta a guardare

Non bastasse questo, la minaccia turca è costante e le risorse cominciano ad esaurirsi. Nella seconda metà del 400 i Veneziani perdono nel Levante un’isola dopo l’altra a vantaggio dei Turchi.

E “l’Europa sta a guardare assaporando con soddisfazione” le perdite dell’odiata Repubblica che si è impadronita di un numero sempre maggiore di territori in Italia venendo meno a quello che è sempre stato il vero interesse di Venezia, orientato sul mare: la ricchezza, il prestigio e la forza della Serenissima si fonda infatti da sempre sulle attività mercantili marittime.

Le predazioni dei Turchi

Ora i Turchi predano sistematicamente, ad una ad una, le gemme più belle dei possedimenti (Negroponte, Argo, Scutari, la Morèa). L’effimero acquisto di Cipro (1498 — 1573) è una magra ricompensa per le dolorose perdite subite.

E veniamo a Lepanto (7 ottobre 1571). La grande vittoria della Lega Santa sui Turchi, il ruolo importante che ha la flotta veneziana, non danno gli effetti desiderati, tanto meno un lungo respiro per il futuro della Repubblica Serenissima.

Il lentissimo e dorato declino

Il sistema politico veneziano non salva la città dal cadere sotto la pressione delle grandi monarchie: nella seconda metà del il lento, ma inevitabile e costante declino della Repubblica di San Marco  è irrimediabilmente segnato.

Così la città, ristretti sempre più i suoi possessi al retroterra ed agli avanzi del suo impero coloniale, tra una mascherata e l’altra, fra festini, spettacoli, parate e carnevali, si avvia al tramonto.

La spallata di Napoleone

Ci penserà Napoleone con una “spallata” a decretarne la fine (12 maggio 1797). Sulla saggezza, la diplomazia sottile, la forza militare la vecchia Repubblica di San Marco sa sopravvivere all’impresa dell’occupazione ottomana di Costantinopoli prima
(1453) e alla scoperta di nuove vie marittime poi, che trasferiscono dal Mediterraneo all’Atlantico le grandi correnti del traffico commerciale mondiale. Nonostante questo, il lungo declino conosce momenti meravigliosi per l’arte, la cultura, la musica, il costume, la scienza raffinata del vivere, portate al massimo livello, mai visto e conosciuto prima in Europa.

 

Gian Carlo Succol

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