21 Novembre 2025
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Civitella del Tronto, la fortezza dei Borbone che non volle arrendersi al Regno d’Italia

La magnifica fortezza borbonica di Civitella del Tronto, negli Abruzzi, è tra le più grandi d’Europa. Da lì lo sguardo spazia sui monti Sibillini, fin sulla Maiella e sul Gran Sasso. Migliaia di turisti, ogni anno, scarpinano sui piazzali, s’infilano nei camminamenti, nelle gallerie, scrutano le cannoniere, visitano i locali di acquartieramento delle truppe. “Una delle fortezze meglio conservate” spiega una brochure turistica.

Un restauro assai radicale

Più che “ben conservata”, diremmo “ben rifatta”. Perché prima dell’assai radicale restauro, che risale agli anni Settanta del Novecento, la Fortezza di Civitella del Tronto, per cent’anni e più, è rimasta soltanto un rudere, un cumulo di rovine, diruti muri come denti cariati che si levavano al cielo maledicendo il loro distruttore.

Civitella del Tronto, in una foto del 1914 la testimonianza di come l’esercito italiano nel 1861 aveva distrutto il paese che resisteva

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E naturalmente, nella restaurata magnifica Fortezza, non c’è una lapide che parli chiaro, che dica perché, che racconti esplicitamente a quale barbaro straniero inimico si deve la distruzione di questo gioiello di architettura militare.

Sono stati gli italiani…

Furono gli italiani, fu il neonato Regno d’Italia. Fu il Risorgimento, i buoni re Savoia, Cavour e compagnia.

Civitella del Tronto, ciò che rimaneva: solo rovine (cartolina del 1930, archivio Campli)

Il 17 marzo 1861 avvenne la proclamazione del Regno d’Italia: il legittimo sovrano del Regno delle Due Sicilie si era arreso ed era già in esilio a Roma. Eppure quel 17 marzo la conquista piemontese del Sud era ancora incompiuta: un paese fortificato, un manipolo di eroi, fedelissimi al loro Re, resisteva da mesi, impavido, all’assedio.

Fortezza di Civitella del Tronto, scorcio delle mura restaurate (foto maury3001, lic. CC)

La fedeltà al Regno delle Due Sicilie

La Fortezza di Civitella del Tronto è un monumento alla fedeltà, al valore dell’esercito dei Borboni nella resistenza contro i Savoia. Fu quello l’ultimo lembo di Regno delle Due Sicilie rimasto indipendente, nel Regno d’Italia già proclamato da giorni. L’ultima bandiera del Regno delle Due Sicilie non venne mai ammainata dai suoi difensori, dalla rocca di Civitella del Tronto: questa è una storia che dice, del cosiddetto Risorgimento, la verità che si è voluta nascondere.

La fortezza borbonica di Civitella del Tronto , difesa da poco più di quattrocento soldati, venne assediata già nel 1860 dall’esercito piemontese, forte fino a quattromila uomini e forte soprattutto dei nuovi cannoni a canna rigata, con gittata molto più lunga dei vecchi cannoni a canna liscia di cui disponeva la Fortezza per difendersi.

Mesi di bombardamenti sui “briganti”

E così la Fortezza e i suoi uomini, e il paese di Civitella cinto dalle possenti mura rinascimentali, vennero sottoposti a mesi di bombardamento massiccio, mentre gli agenti di Cavour spiegavano che i piemontesi erano venuti per liberare le masse dai Borboni e portare l’ordine contro quelli che già la propaganda sabauda chiamava briganti. Gli stessi metodi, la stessa propaganda, perfino le stesse parole, che sessant’anni prima aveva impiegato Napoleone.

Nel dicembre 1860, a resistere agli invasori, ormai, oltre a Civitella del Tronto, erano solo le fortezze di Messina e di Gaeta, dove però Re Francesco II di Borbone stava già trattando la resa. Il 13 febbraio 1861, l’ultimo sovrano delle Due Sicilie prese la via dell’esilio e Cavour si affrettò a comunicare trionfalmente alle cancellerie di Francia e Gran Bretagna che l’unificazione d’Italia era cosa fatta.

Civitella resiste ancora

Mentiva, perché alla conquista del Sud mancava ancora qualcosa: un territorio minuscolo, appena un francobollo. Una piccola cittadella fortificata, in cui gli abitanti stessi, le donne, i bambini, i preti, incoraggiavano i soldati a non mollare. Incrodata sulla sua montagna, fiera, ostinata, invitta dopo mesi e mesi di bombe, Civitella del Tronto abbracciata dalla sua fortezza resisteva ancora all’invasore italiano.

A febbraio 1861, dopo la resa dei Borboni, l’esercito piemontese si accanì contro la Fortezza di Civitella: Cavour voleva chiudere la questione entro pochissimi giorni. Bombe su bombe, ma l’eroica guarnigione borbonica, sostenuta dagli abitanti del paese, resisteva ancora. All’intimazione di arrendersi, mandò a rispondere un bambino: “Vi accoglieremo a cannonate“.

Schiacciate quei briganti

Imbarazzato e furente, per aver già comunicato agli altri Paesi la vittoria che invece faticava a compiersi, Re Vittorio Emanuele II promulgò la legge che lo incoronava Re d’Italia. Era il 17 marzo 1861, ed anche questa era una menzogna: perché laggiù, in cima ai monti d’Abruzzo, un paesino cinto da possenti mura rinascimentali, difeso da poche centinaia di soldati, inalberava ancora orgoglioso sulla torre la gigliata bandiera del Regno delle Due Sicilie: Civitella del Tronto, la fedelissima.

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Per il nuovo Re d’Italia era un affronto insopportabile, l’ordine fu di schiacciare immediatamente quei briganti, ad ogni costo. Gli assedianti, dopo mesi di cannoneggiamento, tentarono anche con la diplomazia: un generale sabaudo chiese ed ottenne il permesso di entrare nella Fortezza fedelissima, dichiarandosi latore di un messaggio di re Francesco di Borbone, allora in esilio a Roma. Il messaggio ordinava alla guarnigione di Civitella di arrendersi. Ma a Civitella risposero che la firma del loro re era falsa e rifiutarono di arrendersi.

La capitolazione

La risposta piemontese fu un bombardamento pazzesco, rabbioso, mai visto: in tre giorni, quasi ottomila proiettili d’artiglieria piovvero sulla fortezza di Civitella e sull’eroico, martoriato paese. E finalmente, il 20 marzo, sulle mura si aprì una breccia e i difensori firmarono la capitolazione, dietro promessa di aver salvi l’onore e la vita. Verso mezzogiorno, il paese era ormai conquistato.

Fucilato anche il parroco

Neppure un’ora dopo, l’esercito che era entrato in paese assicurando di rispettare l’onore e  la vita dei prigionieri, fucilava con disonore, alle spalle, gli ultimi difensori della fortezza, quelli che più avevano insistito per resistere ad oltranza, primo tra tutti il sergente Angelo Messinelli. Venne fucilato alle spalle persino padre Zilli, il parroco del paese. Tutti gli altri altri soldati borbonici furono deportati in Piemonte, nel famigerato forte di Fenestrelle: di oltre duecento prigionieri, ne tornarono meno di dieci.

Nel pomeriggio di quel 21 marzo 1861, il comando dell’esercito sabaudo entrò trionfalmente in Civitella preceduto dalla fanfara dei bersaglieri e comunicò subito a Cavour che Civitella era italiana. Ma ancora una volta, era una bugia. Perché lassù, nella torre più alta della Fortezza, sventolava ancora la bandiera dei Borboni. E un manipolo di eroi era asserragliato dentro, deciso a non ammainare quella bandiera.

L’ultima bandiera

L’esercito del neonato Regno d’Italia non provò neppure ad espugnare la rocca. Il giorno dopo, 22 marzo,  furono piazzate alla base decine di tonnellate di esplosivo. Saltò in aria la rocca con l’intera sommità della collina, insieme agli ultimi eroici difensori, e con l’ultima bandiera del Regno delle Due Sicilie.

Ordine del ministro, distruggere Civitella

Il giorno dopo la presa di Civitella, giunse l’ordine direttamente dal governo italiano, firmato Manfredo Fanti, ministro della Guerra. La fortezza di Civitella dei Tronto e l’intera cinta muraria del paese doveva essere spianata, distrutta come “monito per i briganti“. L’antica Fortezza di Civitella del Tronto fu cancellata, rasa al suolo, le splendide mura rinascimentali che abbracciavano il paese, abbattute senza pietà. Il paese che fino all’ultimo non si era voluto arrendere all’Italia unita, per cent’anni, sollevando gli occhi verso il cielo, avrebbe guardato quelle rovine, monito di pietra e di sangue ai vinti.

La lapide

Alle migliaia di turisti che visitano la restaurata, magnifica fortezza, viene raccontata nei dettagli la vita dei soldati, magnificata la loro fedeltà al legittimo sovrano “anche quando la causa è perduta”. Ma contro chi combattevano, questi eroici, fedelissimi soldati? Una coraggiosa lapide, sulle mura dell’antica Fortezza, è dedicata al “maggiore Raffaele Tiscar, ufficiale borbonico, fedele al giuramento prestato”, e fa riferimento al “comando piemontese assediante”. Ma la lapide non accusa esplicitamente  il Regno d’Italia per la ferocia dei bombardamenti e delle vergognose fucilazioni.

Civitella del Tronto, la Fortezza (foto trolvag, lic.CC)

La lotta contro l’unità imposta

Il radicale restauro della Fortezza ha restituito a Civitella del Tronto il suo grande capitale turistico, ma così ha artificialmente mascherato la tragedia e l’epica che quelle martoriate pietre raccontavano e urlavano al cielo.

Meriterebbero almeno, quelle allisciate candide mura, di veder raccontata esplicitamente l’indicibile verità storica: che qui si combatté strenuamente contro l’unità d’Italia, per la libertà dei diversi popoli dell’Italia. Si resistette fino all’ultimo, eroicamente, contro la mala unità d’Italia che ci veniva imposta, contro l’invasione piemontese, contro la barbara conquista del Sud, e poi di Roma e della Venezia, la conquista che chiamiamo Risorgimento.

Alvise  Fontanella

 

 

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