22 Ottobre 2024
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La Lega di Cambrai, S. Croce Bigolina (Pd) e Alessandro Bigolin “citadin padovan molto marchesco”

Nel 1508 l’intera Europa, Inghilterra a parte, si coalizzò contro la Serenissima nella Lega di Cambrai, una guerra che durò fino al 1517 e che ha visto la Repubblica Veneta mantenere praticamente inalterati i propri confini dopo aver subito pesanti sconfitte, aver stretto alleanze con i vari “nemici”, e aver constatato la fedeltà delle genti venete  nel nome di San Marco: un’epopea che è finita nel dimenticatoio e che invece meriterebbe di essere conosciuta e valorizzata da ogni buon veneto.

Fortunatamente ci sono ancora benemeriti studiosi che con le loro ricerche contribuiscono a valorizzare  il nostro territorio e a mettere in evidenza preziose testimonianze relative proprio all’epoca della Lega.

Lino Geremia e il suo Viaggio nella piccola, grande storia

E’ il caso di Lino Geremia e del suo “Leggenda ritrovata. Viaggio nella piccola, grande storia della comunità di Santa Croce Bigolina di Cittadella”, edito nel 2005, corposo volume di 413 pagine con la prestigiosa prefazione di monsignor Pietro Nonis.

La famiglia dei Bigolini

L’intero capitolo quarto è dedicato ai Bigolini e si conclude con l’albero genealogico della famiglia; si scopre così che “La famiglia dei Bigolini ha origini nel territorio trevisano, intorno alla metà dei Trecento. In realtà essi venivano chiamati, all’inizio, “de Mainardis” ed il primo ad entrare sulla scena della storia fu Victor (o Vittore) de Mainardis, come racconta un cronachista medievale suo contemporaneo. Poiché risiedevano a Bigolino, paese che si trova presso Valdobbiadene, presero più tardi la denominazione “de Bigolino” o anche “Bigolin”, che poi diventò il loro cognome.

Alessandro Bigolin fedele servitore di Venezia

I Bigolino che meriterebbero di essere studiati sono diversi; in questa fase mi soffermo su Alessandro, nato nel 1448. “Gli scrittori suoi contemporanei lo ricordano come un grande comandante. Fin da giovane infatti si diede alla carriera delle armi, servendo fedelmente Venezia, riportandone onori ed ottenendo l’ambito titolo di Cavaliere”; Alessandro giunto all’età di 60 anni si ritirò dalla milizia pensando di godersi la meritata pensione nella tranquillità di Santa Croce Bigolina … ma non aveva fatto i conti con la storia.

La Lega di Cambrai

Nel 1508 nasce la Lega di Cambrai con la regia di papa Giulio II; pochi mesi dopo, il 14 maggio 1509, l’esercito veneto subì una pesantissima sconfitta ad Agnadello (Milano) e nei giorni successivi tutte le città di terraferma passarono ai collegati di Cambrai, ad eccezione di Treviso. Il perfido Machiavelli annotò che in otto ore la Serenissima perdette tutto ciò che aveva conquistato in otto secoli.

Tradimento di Malatesta, la ribellione di Cittadella

Tra coloro che passarono ai nemici della Serenissima, anche Pandolfo Malatesta, podestà di Cittadella;  ma a Cittadella pochi accettarono il tradimento e in particolare si ribellarono le ville della podesteria esterna di cui faceva parte anche Santa Croce.

Nel luglio del 1509 Alessandro Bigolino raduna le truppe formate dai contadini fedeli a San Marco e va all’assalto di Pandolfo Malatesta sconfiggendolo; nonostante ciò il Malatesta riesce a riparare all’interno delle mura di Cittadella.

L’aiuto da Venezia

Il Bigolino allora per tentare di prendere la città chiede aiuto a Venezia: il Doge gli assegna subito 100 cavalli leggeri e 200 fanti e poi altre 300 cavalli e 500 fanti; oltre a questi il Bigolino può contare su quattromila contadini della zona da lui coinvolti  e mantenuti a proprie spese.

La guerra prende una brutta piega

Purtroppo le vicende della guerra prendono una brutta piega per la Serenissima, l’esercito di Massimiliano I° punta su Padova per espugnare la città e il Bigolino corre per difenderla; l’11 settembre giungono a Venezia lettere da Padova, con le quali si informa che i nemici erano giunti fin verso Bovolenta e Roncaiette “dove su la Brenta era domino Alessandro Bigolin con 200 balestrieri et molti villani. E perché i nemici veneno con artilarie …messeno in fuga i nostri, et cussì a guazo passono la Brenta vecchia”.

Dopo la ritirata, mancano all’appello 34 balestrieri a cavallo “tra i quali il fiol di Alessandro Bigolin … et non sanno si sieno vivi o feriti” come ci ricorda Marin Sanudo.

La resistenza di Padova, Bigolin libera Cittadella

Padova respinge l’assedio imperiale e le truppe di Massimiliano I, tornando verso nord, il 7 ottobre entrano a Cittadella, la saccheggiano e uccidono molti abitanti. A questo punto Alessandro Bigolino ritiene che sia giunto il momento per liberare Cittadella e chiede il sostegno di Pietro Marcello, provveditore di Noale, il quale però, come ci ricorda Lino Geremia, preferisce avere l’avallo della Capitale e così scrive al Doge che Cittadella si può conquistare “con el mezo de domino Alexandro de Bigolin … che l’intrerà in Citadella et tajarà a pezi tutti li todeschi che li se atrovano, che sono, per quanto intendo, de zecha 300; e che, poi, intrato che ‘l sia … lui se offerisse mantegnirla a tutte sue spese senza altra spesa di la Signoria nostra, pur che ‘l sia subvenuto de 4 pezi de artellaria …” come riporta ancora il Sanudo.

Finalmente, dopo diversi colpi di scena, il 26 novembre 1509 i soldati del Bigolino potevano entrare in Cittadella, sventolando le bandiere di San Marco, accolte dal Te Deum nel Duomo di San Prosdocimo.

I danni a Rossano

Gli occupanti di Cittadella nel ritirarsi avevano fatto gravi danni nel bassanese, in special modo a Rossano, dove gli abitanti si erano rivolti al Bigolino sperando nel suo aiuto: egli allora si rivolge a Venezia chiedendo il suo aiuto.

“1509 adì 12 decembrio Cittadelle. Sia noto a chadauna persona como io Alexandro de Bigolin facio fede como la villa de Rossanè stata tutta sachezata de bestiame pane vino, et strame, et morti homeni, et ha habuto grandissimo danno, et a quellase die’ haver misericordia, et darli ogni favor per esser loro fidelissimi della illustrissima Signoria nostra, et per haverli provati alli bisogni sui alli tempi de’ Spagnoli, li quali venero con le lor arme de mia compagnia, et anche de’ Todeschi, et per il suo bon valor meritano piacevoleza, et bene verso à questo Stato, al qual io li aricomando humilmente “ (Archivio Bassano, vol. 2/101, Comuni del territorio, contese varie, fasc.7).

Cittadella affidata al Bigolino

La guerra di Cambrai intanto continua fra alleanze fatte e disfatte e le nostre comunità continuano a subire violenze inenarrabili; il prof. Gullino ci ricorda come Montagnana, per esempio, “viene perduta e ripresa dall’uno o dall’altro esercito per ben 12 volte”.

Nel 1510, ci ricorda sempre Lino Geremia, duemila fanti tedeschi, approfittando del fatto che le milizie veneziane erano state portate su altri fronti, calarono da Bassano a Cittadella per depredarla; ancora una volta il Bigolino salva la città e riconquista anche Bassano.

Nel frattempo il nuovo podestà di Cittadella, Gregorio Pizzamano, chiese ed ottenne dalla Repubblica l’affidamento al Bigolino della difesa della città murata. Come ricorda il Sanudo, il 25 maggio 1510, “fo commesso a domino Alessandro Bigolin il governo e cura di loco di Cittadella, sichome si oferse voler far”.

In mano agli invasori

Dopo un po’ di tempo l’emergenza della guerra portò la Serenissima ad abbandonare nuovamente Cittadella, invitando i suoi abitanti a non resistere di fronte a un nemico così superiore, il Senato veneto invitava addirittura a sfondare le botti di vino per non lasciarlo  al nemico, il Bigolino rispose che “è mal, perché gli homeni e chi resta moriranno senza vin et è meglio morir combatendo che da malatie” (Marin Sanudo I Diarii vol.X).

Nonostante il coraggio e la determinazione di Alessandro Bigolino però Cittadella cade nuovamente in mano agli invasori francesi guidati da Giulio di Sanseverino (1475-1555).

Cittadella riconquistata dal Bigolin

Ma il Bigolin non demorde, si reca personalmente a Venezia dove viene accolto come “citadino fidelissimo” e finalmente ottiene 150 ducati per riorganizzare il suo esercito; l’8 agosto 1510 rientra a Cittadella approfittando del fatto che buona parte della guarnigione francese era stata spostata altrove; L. Geremia scrive nel suo volume che “dopo appena 24 giorni di occupazione francese, il vessillo di San Marco tornò a sventolare dalle torri” restandoci per circa un anno, quando un nipote del Malatesta la occupa di nuovo.

Ma la guerra  è lungi dall’essere risolta in maniera definitiva e così il 22 settembre 1511 Cittadella torna in mano della Serenissima; segue un periodo di relativa tranquillità che porta la Serenissima a sostituire il podestà Pizzamano (processato per sospetto tradimento ma riconosciuto poi innocente) con Zaccaria Contarini: siamo nell’agosto del 1512.

L’attacco spagnolo

La guerra dopo un po’ riprende: questa volta è il turno del Vicerè di Napoli, Raimondo di Cardona a marciare su Vicenza: Alessandro Bigolino e Zaccaria Contarini accorrono nella città berica per difenderla, ma le forze spagnole sono nettamente superiori e così rientrano a Cittadella, da dove ripartono con mille uomini alla volta di Padova dove è in corso l’assedio sempre del Cardona alla città: dopo diciotto giorni desiste spostando le sue attenzioni su Cittadella e assediandola a partire dal 2 ottobre 1513; i cittadellesi resistono grazie anche agli apporti che giungono da Bassano e da Treviso e l’esercito dei collegati di Cambrai che poteva contare su 4000 spagnoli, 2000 “schioppettieri” tedeschi e 1200 “ sguizzari” è costretto a ritirarsi verso la Brenta a Fontaniva.

Bigolino prigioniero

In tutto questo susseguirsi di battaglie il Bigolino viene fatto prigioniero; il 3 e 4 ottobre 1513 Andrea Loredan, provveditore generale in campo, scrive dalle rive della Brenta: “Ho avviso certo che Alessandro Bigolino … volendo intrar in Citadella, è stà preso da i nimici”.

Il podestà di Cittadella conferma la cattura e asserisce che Alessandro, ormai in mano ai nemici “ven a le fosse, butandose in zenochioni” e pregando i cittadellesi di arrendersi che avrebbero avuti salvi gli averi e le persone e a lui sarebbe stata risparmiata la vita “altramente li voleno taiar la testa”.

Citadin padoan molto marchesco

Evidentemente il Bigolino era sotto minaccia delle armi, non era tipo di avanzare proposte come queste;  il podestà  non si arrese e il nostro Bigolino pochi giorni dopo riuscì a fuggire e a rifugiarsi dentro una chiesa: era il 10 ottobre 1513; il podestà Contarini lo salutò con ammirazione definendolo “primario di Citadella e citadin padoan molto marchesco”.

In quei giorni però la guerra stava prendendo una brutta piega per la Serenissima, sconfitta il 7 ottobre 1513 nella battaglia della Motta, presso Costabissara (Vi) nella quale Bartolomeo d’Alviano subì una pesante sconfitta per mano del Cardona supportato da 3500 lanzichenecchi tedeschi: il Veneto centrale ritornava sotto il controllo dei nemici di Venezia.

La breccia sulle mura

L’indomito Alessandro Bigolino corse a Venezia per sollecitare una pronta risposta e agli inizi del 1514 la Serenissima inviò un nuovo podestà, Francesco Coco, abilissimo soldato; ma questo non basta e verso la fine di giugno i collegati di Cambrai prendono nuovamente Cittadella, facendo prigioniero il podestà e lasciando come ricordo dell’assedio una breccia sulle mura ancora visibile fra Porta Bassano e Porta Vicenza.

La guerra volge a favore della Serenissima

Il Bigolino riesce invece ancora una volta a sfuggire al nemico e si rifugia a Bassano: è il 23 giugno 1514. Le sorti della guerra girano però a favore della Serenissima: determinanti sono la fedeltà incrollabile  dei contadini nel  nome di San Marco e una straordinaria capacità di leggere gli eventi che porta Venezia a cambiare gli alleati a seconda della situazioni; determinante sarà la battaglia di Marignano (Mi) del 14 settembre 1515 dove l’asse veneto-francese sbaraglia gli avversari con una carica epica delle truppe venete guidate da Bartolomeo d’Alviano al grido di “San Marco, San Marco!”

Nel frattempo Alessandro Bigolino viene nominato conestabile della Serenissima, un riconoscimento prestigioso per le sue imprese; ormai anche per lui, però, inizia il viale del tramonto e nel gennaio del 1516 stanco e debilitato decide di far testamento; il documento viene pubblicato sul volume di Lino Geremia che ringrazia a sua volta il prof. Alberto Golin di Carmignano di Brenta per il ritrovamento.

Il testamento di Alessandro Bigolino

“Benché in questa vita nell’animo del prudente debba sempre esistere il sospetto della morte e sia l’ora di questa incerta e dubbia, tuttavia ancor più grandemente io temo per la mia vita per l’incombente debolezza del mio corpo. Perciò, affinché non mi accada di morire senza aver disposto dei beni materiali, devo ora preoccuparmi soprattutto di far conoscere le mie ultime volontà.

Adunque io, il magnifico signor Alessandro Bigolino, figlio del fu magnifico cavaliere signor Battista, cittadino di Padova, seppure malato nel corpo ma sano di mente e di intelletto, ordino che si disponga dei miei beni secondo il modo descritto nel presente testamento.

Nel sepolcro della famiglia dei Bigolini

E innanzitutto ordino di raccomandare la mia anima al suo Altissimo Creatore e alla gloriosa Vergine Madre Maria e a tutta la Corte Celeste; e quando sia arrivato il momento di partire da questa vita, voglio che il mio corpo sia sepolto nella Chiesa di Santa Croce, davanti all’altare di San Giovanni, nel sepolcro della famiglia dei Bigolini.

La dote di Franceschina

Poi ordino che gli introiti provenienti, fra gli altri, dal podere coltivato da Gaspare Geremia, siano dati e consegnati da Gaspare, mio figlio ed erede, al signor Benedetto Novello, cittadino di Treviso, a compenso della dote della signora Franceschina mia figlia, affinché sia soddisfatto quanto più presto possibile, e che un altro podere, tenuto dal detto signor Benedetto, sia recuperato quale computo della dote, che Gaspare mio erede consideri liquidata, sempre tuttavia restando immutata l’obbligazione del detto possedimento, fatta da me in favore della signora Bigolina mia figlia per la sua dote, secondo la forma del relativo atto notarile.

Il podere al genero Alberto da Tavola

Voglio ancora che il podere coltivato dai Todeschi rimanga vincolato al signor Alberto da Tavola, mio genero, in compenso della dote della signora Mattea, mia figlia, come risulta dalla scrittura di mano del detto signor Alberto, depositata presso il signor Febo Capello, pure mio genero e ordino che il predetto signor Febo debba avere l’usufrutto del possedimento coltivato da Zanoto Lasagna, come ha fatto finora, secondo quanto riportato nella scrittura fatta di mano di ser Giacomo Prandini notaio di Cittadella e questo a compenso della dote della signora Clara, mia figlia e moglie del signor Febo.

Duecento ducati al figlio naturale e al nipote

Ancora ordino per testamento di dare a Mainardo, mio figlio naturale, duecento ducati dei miei beni, per il suo mantenimento e di consegnare altri duecnto ducati a mio nipote Alessandro, figlio della signora Bartolomea, mia figlia legittima e naturale.

Duecento ducati alle figlie naturali

A Lucrezia e a Girolama, mie figlie naturali, saranno consegnati duecento ducati ciascuna, sia per il loro mantenimento sia per la loro dote.

Lascio inoltre alla signora Madremaria, che per diversi anni ha abitato in questa casa, cento ducati d’oro a ricompensa del suo servizio.

Cento ducati all’ancella

Lascio ancora alla signora Negra, mia ancella, cento ducati d’oro, nel caso che non possa rimanere ad abitare nella casa di mio figlio; e se se ne andrà, voglio che sia mantenuta, restituendo a Gaspare i sopraddetti cento ducati per il tempo del mantenimento e voglio anche che le siano intestate in usufrutto un numero di campi equivalenti alla detta somma, campi che Gaspare potrà recuperare al momento di sborsare alla signora Negra i cento ducati.

I beni dei Bigolini a maschi e femmine

Questa clausola deve essere valida anche per gli eredi di Negra e di Gaspare; ordino che i lasciti di Mainardo, Alessandro, Lucrezia, Gerolama e Madremaria abbiano valore altrettanto e nello stesso modo in cui ho comandato riguardo alla signora Negra e che trovino fondamento sui campi posti fra i fossati che si trovano presso il fondo grande nel quale io stesso abito, tuttavia a questa esplicita condizione, che la signora Negra e la signora Madremaria non possano fare testamento dei predetti beni né disporne altrimenti se non distribuendoli, dopo la loro morte, fra i soprannominati legatari e beneficiate o i discendenti e le discendenti della famiglia dei Bigolini, tanto maschi quanto femmine; se faranno diversamente, i lasciti non dovranno valere per legge se non per entrambe esse sole.

Voglio ancora che siano date duecento lire, prelevate dai miei beni mobili, alla signora Nicodema, figlia di maestro Bernardino dai Pozzi, mio compare, da utilizzare per il suo matrimonio.

I debiti con i patrizi veneti

Al magnifico signor Pietro Cantareno da Malvatisio e al magnifico signor Francesco da Mula, patrizi veneti, dovrà essere pagato per intero il debito che ho nei loro confronti e così pure dovranno essere pagati gli altri miei creditori, dopo che si sarà stabilito il reale ammontare di tali debiti con il mio erede Gaspare.

Di tutti gli altri miei beni, poi, tanto mobili quanto immobili, di tutti i diritti e le facoltà giuridiche di qualsiasi genere, stabilisco e voglio che sia mio erede universale l’eccellente signor Gaspare Bigolino, mio figlio diletto qui presente.

Il primogenito erede universale

Questo voglio che sia il mio ultimo testamento e l’ultima volontà, confermando l’obbligo di trasmettere l’eredità al mio primogenito, così come hanno fatto i miei antenati e come ha fatto mio padre e voglio che questo testamento e questa ultima volontà abbiano valore per diritto di testamento e di ultima volontà.

E se non potranno essere validi per diritto di testamento e di ultima volontà, dovranno trovare valore per diritti dei codocilli; se poi non potranno essere validi nemmeno così, quanto ho stabilito valga a titolo di donazione per causa di morte o di qualsiasi altra norma possa rendere le mie decisioni efficaci.

Sia resa lode a Dio Sempiterno.”

Una vita spesa per la Patria veneta

Poco tempo dopo, carico di onori e di gloria, Alessandro lasciò questa vita. Aveva 68 anni. Anche se si era persa memoria della sua tomba, incorporata nella chiesa nell’ampliamento del 1794 e ricoperta dal pavimento rifatto a fine Ottocento, il ricordo della figura di Alessandro continuò ad aleggiare su Santa Croce, trapassando quasi in leggenda. Ma il 16 maggio 1797, durante i lavori di rifacimento del pavimento, ecco riaffiorare la sua sepoltura, ricoperta da una lastra di pregiato marmo, cu cui è incisa un’iscrizione la cui traduzione in italiano (sempre a cura di L. Geremia) recita:

“Il nobile, valoroso in guerra e illustre in pace Signor Alessandro Bigolino, figlio dell’illustre Cavaliere Signor Battista, negli ultimi giorni della sua vita spesi senza risparmio per la Patria e il Senato Veneto, morendo, volle, che le sue ossa fossero qui riposte, a cura del figlio Gaspare. Morì nell’anno del Signore 1516, all’età di 68 anni.”

La Chiesa di Santa Croce Bigolina – Cittadella (Pd)

Peccato per un personaggio così importante e affascinante non ci sia alcun cenno nella chiesa di Santa Croce Bigolina.

Un’ultima considerazione di carattere toponomastico, nella periferia sud-est di Vicenza esiste un’altra “Santa Croce Bigolina” che ha la stessa origine; lo sottolinea monsignor Pietro Nonis nella prefazione: “La zona di Santa Croce Bigolina nel territorio compreso tra le parrocchie di Campedello e Longara, ed è così denominata, da secoli, da un’antica cappella dedicata alla Santa Croce, che sorgeva sulla proprietà della nobile famiglia Bigolin”.

Ettore Beggiato

 

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