20 Aprile 2024
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Georg Klotz, combattente per il Tirolo e la storia nera dei servizi segreti italiani

Nella sua capanna da carbonaio nella Valle di Stubai, nel Tirolo austriaco, muore Georg Klotz, per un’embolia polmonare, a soli 56 anni. Era il 24 gennaio 1976.

Georg Klotz, al quale la propaganda italiana affibbiò il nomignolo criminale di “martellatore della Val Passiria“, ma solo perché era nato in Val Passiria e vi aveva esercitato il mestiere di fabbro, oltre che di carbonaio, è una delle grandi figure di patrioti sudtirolesi che animarono, con azioni dimostrative e anche con azioni violente e cruente, la stagione della lotta armata contro l’Italia.

Una scelta, quella della lotta armata, che era, ai loro occhi, di fronte ai persistenti rifiuti di Roma, l’unico mezzo per consentire ai sudtirolesi di esercitare il diritto di autodeterminazione, riunire il Tirolo e cancellare quell’innaturale confine del Brennero che spezzava in due la loro Patria.

L’italianizzazione forzata del Sudtirolo

Georg Klotz era stato un “optante”: in base agli accordi tra gli alleati Hitler e Mussolini, l’Italia era libera di italianizzare a forza l’Alto Adige, negando qualsiasi diritto alla minoranza, vietando la lingua tedesca nelle scuole, nelle funzioni religiose, negli uffici pubblici, ribattezzando strade, paesi, sentieri e montagne con nomi italiani.

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I sudtirolesi di lingua tedesca che non ci stavano a venir italianizzati, in base a quegli accordi potevano “optare” per la Germania, emigrare in Germania, dove lo Stato nazista li avrebbe aiutati e concesso loro terre per lavorare. Georg Klotz fu tra i sudtirolesi che “optarono” per la Germania, e lì prestò servizio come volontario per la Wehrmacht.

Eva Klotz, la figlia continua in politica la lotta del padre

Finita la guerra, caduti nazismo e fascismo, Georg Klotz ritornò nel Sudtirolo, fondò una delle locali associazioni di Schutzen e divenne vicecomandante degli Schutzen della Provincia di Bolzano.

Eva Klotz (foto di HaTe, CC BY-SA3.0)

Nel 1950 si era sposato. Ebbe sei figli, tra i quali Eva Klotz, che avrebbe continuato, sul terreno della politica, la lotta indipendentista del padre. Eva Klotz è stata per 31 anni consigliera provinciale di Bolzano, ed ha fondato il più importante e radicato partito indipendentista sudtirolese, il  Sud-Tiroler Freiheit, che si batte per il diritto di autodeterminazione del popolo sudtirolese.

Georg Klotz e la scelta della lotta armata

Alla fine degli anni Cinquanta, Georg Klotz scelse la lotta armata. Negli anni in cui la Gran Bretagna riconosceva il diritto di Cipro e di altri possedimenti a decidere il loro destino, la democratica Italia proseguiva l’oppressione del Sudtirolo e la politica di italianizzazione forzata, negava la piena applicazione degli accordi internazionali stipulati con Vienna, trascinava in trattative senza sbocco gli esponenti politici sudtirolesi che avevano scelto la via “pacifista”.

Ed è innegabile che il cambio di rotta dell’atteggiamento italiano, la concessione al Sudtirolo dell’autonomia pattuita con l’Austria, fu il frutto dell’azione politica caparbia e intelligente di Silvius Magnago e della Svp, ma anche della pressione della lotta armata e della sua preoccupante – per Roma – popolarità tra la popolazione sudtirolese.

Italia, le autonomie strappate (anche) con la forza

Non si può, purtroppo, non riconoscere che le due uniche vere e piene forme di autonomia regionale, di quasi indipendenza, concesse da Roma, sono gli Statuti di Autonomia del Sudtirolo e della Sicilia.

Ed entrambe queste fortissime autonomie – quella siciliana pre-esiste addirittura alla Costituzione italiana – vennero strappate soltanto dopo che avevano parlato le armi. Autonomia in cambio della rinuncia alla lotta armata per l’indipendenza.

Georg Klotz nella Notte dei Fuochi

E così nel 1960 Georg Klotz aderì al Befreiungsausschuss Sudtirol (Comitato per la liberazione del Sudtirolo) che si batteva in armi contro l’occupazione italiana e partecipò a vari attentati dinamitardi e in particolare a quello, famosissimo, della Notte dei Fuochi, tra l’11 e il 12 giugno 1961, ricorrenza della vittoria degli insorti di Andreas Hofer contro l’esercito di Napoleone.

Quella notte vennero piazzati quasi 50 esplosivi sui tralicci dell’alta tensione, con l’obiettivo di “spegnere” l’intera provincia di Bolzano. Doveva, nei programmi, essere un gesto forte ma incruento, ma non tutto andò secondo i piani: uno stradino ci rimise la pelle.

Terroristi o partigiani combattenti per la libertà?

Per l’Italia erano terroristi, per i sudtirolesi erano patrioti combattenti per la libertà. D’altronde per Napoleone erano terroristi gli insorti, e per i fascisti erano terroristi i partigiani.

Erano fabbri, carbonai, studenti, contadini. Ma furono capaci di tenere in scacco un esercito, grazie alla conoscenza del territorio e all’appoggio della popolazione.  E proprio per questo – per il seguito che avevano e per l’ampia condivisione dei loro ideali tra la popolazione sudtirolese – i servizi segreti italiani si impegnarono in azioni non convenzionali per eliminarli.

Il piano segreto per eliminare i “terroristi”

La storia che Eva Klotz, figlia di Georg, ha ricostruito, è questa: nella notte tra il 6 e il 7 settembre 1964, in un fienile d’altura della Val Passiria, un amico dei “terroristi” sudtirolesi che era stato reclutato come collaboratore dai servizi italiani, sparò a Luis Amplatz e Georg Klotz mentre questi dormivano, avvolti nel sacco a pelo. Luis Amplatz rimase ucciso, Georg Klotz fu ferito ma sopravvisse e riuscì a riparare in Austria con una epica marcia tra le montagne.

Naturalmente l’Italia non ha mai ammesso il delitto Amplatz: ufficialmente si trattò di uno scontro a fuoco, nel quale un Carabiniere uccise un terrorista. Ma nel bellissimo, appassionato e rigorosissimo libro che la figlia Eva Klotz ha dedicato al padre, “Georg Klotz, una vita per l’unità del Tirolo“, si legge un’altra verità. Per l’assassinio di Amplatz ci fu anche un procedimento penale, ci furono indagini, condotte anche dal giudice istruttore di Venezia.

Ecco cosa scrive Eva Klotz: “Nella mattinata di questa domenica 6 settembre, aveva avuto luogo presso la questura di Bolzano una riunione straordinaria. Come il giudice istruttore di Venezia ebbe successivamente ad accertare, in quell’occasione fu messo a punto il piano per l’assassinio di Georg Klotz e di Luis Amplatz, con relativa consegna dell’arma a tale scopo”.

A sparare sarebbe stato un collaboratore dei Servizi

A sparare – secondo quanto riferisce la figlia di Georg Klotz – sarebbe stato Christian Kerbler, che da mesi collaborava con i servizi segreti italiani. Guadagnata la fiducia di Amplatz e di Klotz, dicendo di essere un giornalista, li aveva accompagnati nella loro fuga fornendo loro appoggio logistico e procurando il cibo.

L’arma con la quale Kerbler doveva eliminarli sarebbe stata una Beretta d’ordinanza dei Carabinieri, perché il piano prevedeva, dopo l’assassinio dei due terroristi, la messa in scena di uno scontro a fuoco con i Carabinieri.

L’assassinio di Luis Amplatz nella notte

Secondo Eva Klotz, ecco come andò: giunto con Georg Klotz e Luis Amplatz nel fienile isolato scelto per passare la notte, Christian Kerbler si coricò anche lui, in un sacco a pelo, tra i sacchi a pelo degli uomini che avrebbe ucciso. Tutti riposavano con le armi in mano.

Mentre i due compagni dormivano, l’agente dei servizi italiani sparò tre colpi su Luis Amplatz e tre colpi su Georg Klotz, vuotando l’intero caricatore della Beretta.

Luis Amplatz morì sul colpo, Georg Klotz fu solamente ferito e si alzò. Aveva con sè un fucile mitragliatore, e avrebbe certamente sparato all’assassino se avesse compreso che era stato lui a uccidere il compagno. Ma Kerbler era in piedi, con la pila puntata sui due, Georg Klotz abbagliato dalla luce non vedeva neppure la pistola impugnata da Kerbler, che in quel momento aveva il caricatore vuoto. Sorpreso e ferito nel sonno, in quell’istante credette che a sparare fossero stati gli italiani, da fuori della baita. E fuggì, ferito da tre colpi di pistola, di notte, da una finestrella che dava verso una gola quasi inaccessibile, nascosta alla vista di chi fosse davanti al fienile.

La messa in scena dello scontro a fuoco

Ma fuori del fienile non c’era nessuno. Non poteva esserci, perché nessuno sapeva che i tre si trovavano lì: il luogo era stato scelto dal solo Georg Klotz all’ultimo momento. Gli italiani sarebbero arrivati molto dopo, e avrebbero crivellato di colpi il fienile per mettere in scena lo scontro a fuoco che doveva giustificare l’assassinio di Amplatz. Perché l’Italia è uno stato civile, perbacco, che non assassina i ricercati nel sonno.

Ma la versione ufficiale, lo scontro a fuoco con le forze dell’ordine italiane, fa acqua da tutte le parti. Lo ammette anche la Commissione Parlamentare d’Inchiesta che indagò sui fatti. Tanto che Christian Kerbler venne poi condannato a 22 anni per l’omicidio di Luis Amplatz e il tentato omicidio di Georg Klotz. In contumacia, perché era fuggito all’estero. Fu però arrestato anni dopo, in Gran Bretagna. E rilasciato: perché l’Italia, nonostante i solleciti da Londra, e nonostante Kerbler fosse un ricercato per omicidio e condannato a 22 anni, si “dimenticò” di chiederne l’estradizione.

La conclusione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul terrorismo in Italia, trent’anni dopo i fatti, negli anni Novanta, suona come un’ammissione di colpa: “Uno Stato di diritto non può ammettere che propri organi programmino e attuino l’omicidio come forma di lotta contro il terrorismo. Uno Stato che usi metodi terroristici per combattere il
terrorismo perde la legittimazione democratica a farlo: l’eversione terroristica non si può combattere con l’eversione istituzionale“.

Condannato a 52 anni, l’Austria nega l’estradizione

Georg Klotz venne arrestato il 9 settembre 1964 in Austria, e l’Italia per lui chiese più volte l’estradizione. Ma Vienna non la concesse mai, riconoscendo di fatto che Georg Klotz si batteva contro l’Italia che in quegli anni non voleva saperne di applicare gli accordi con Vienna che garantivano al Sudtirolo una piena autonomia. Aveva scelto la lotta armata, ma non era un terrorista. Era un combattente per la sua Patria occupata.

Georg Klotz venne quindi processato in contumacia, a Milano, e condannato nel 1969 a ben 52 anni di galera, per tentato omicidio, attentati contro l’integrità dello Stato e cospirazione politica. Oltre ai fatti della Notte dei Fuochi, il tribunale lo considerò tra i responsabili della cosiddetta “strage di Malga Sasso”, avvenuta nel 1966, nella quale persero la vita tre uomini della Guardia di Finanza. Ma di questa strage Georg Klotz si è sempre giurato innocente, e l’uomo ha sempre ammesso e rivendicato le azioni compiute.

Dopo la sentenza, Georg Klotz rimase in Austria, da latitante, ma tornò regolarmente nel Sudtirolo, dalla sua famiglia, passando il confine nonostante i controlli, grazie alla perfetta conoscenza delle sue montagne e grazie al consenso e al rispetto che la sua figura di patriota ha sempre riscosso e continua a riscuotere tra la popolazione sudtirolese, anche tra i molti che non condivisero la scelta della lotta armata.

 

 

 

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