29 Marzo 2024
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Processo a Napoleone, l’atto d’accusa degli avvocati Fogliata e Frigo: ecco il vero monumento

Nella primavera dell’anno 2003 incominciò a Venezia il processo a Napoleone sull’onda delle proteste per la collocazione della statua del rapinatore francese nel Museo Correr in piazza San Marco.

L’iniziativa suscitò molto interesse e vide la partecipazione di prestigiosi avvocati e storici; nel Collegio giudicante (Veneta Corte al crimininal) c’erano il dott. Francesco Maria Agnoli, giudice presso la Corte d’appello di Bologna, l’avv. Alvise Bragadin, il dott. Antonio Fojadelli, Procuratore della Repubblica di Vicenza, il dott. Michele Maturi, sostituto Procuratore a Venezia e l’avv. Giorgio Suppej; la Pubblica Accusa (Avogaria de Comun) era svolta dagli avvocati Giuseppe Frigo e Lorenzo Fogliata, mentre la Difesa (su incarico dell’Associazione Napoleonica d’Italia) era svolta dagli avvocati Vito Quaranta e Christian Serpelloni.

In seguito furono stampati, a cura di Luigi Gigio Zanon, Filippi Editore in Venezia, gli atti del processo.

L’atto d’accusa degli avvocati Frigo e Fogliata

Di particolare interesse l’atto d’accusa formulato dagli avvocati Giuseppe (Iseppo) Frigo e Lorenzo Fogliata  che sono riuscito a recuperare nel mio archivio.

Ettore Beggiato

Eccolo:

Iniusti punientur et semen impiorum peribit

 A V O G A R I A   D I   C O M U N

Vocatio in judicium

Gli Avogadori di Comun, Iseppo Frigo e Lorenzo Fogliata, concluse le indagini relative al procedimento n. 12-05/97, Registro General Avogaria, nei confronti di

Napoleone Bonaparte, nato ad Aiaccio, il 15 agosto 1769, attualmente domiciliato in Francia, Parigi, Les Invalides,

imputato, in concorso con numerosi altri sodali, francesi, italiani e veneti,

di innumerevoli delitti, sotto specificati, sempre perpetrati in concorso con altri cittadini francesi, italiani e veneti collaborazionisti, con dolo intenzionale, ovvero diretto, ovvero eventuale, con condotta attiva ed omissiva (art. 40, co. 2 c.p.) perché, quale generale in capite della c.d. Armata d’Italia, parte dell’esercito di uno Stato rivoluzionario – la Francia – non riconosciuto da alcuna delle principali potenze europee (ma, paradossalmente, riconosciuto proprio dalla Repubblica Veneta) irrompeva nei territori della Serenissima Repubblica di Venezia – Stato neutrale, assolutamente non belligerante – nel maggio del 1796, all’inseguimento delle armate austriache, protestando la più assoluta neutralità fino al maggio del 1797 quando, per la prima volta, dopo aver di fatto illegalmente occupato l’intero Stato da Tera, sottoposto incessantemente a vessazioni, saccheggi, stragi, rapine, incendi e violenze d’ogni sorta, pretestuosamente dichiarava lo stato di belligeranza, il primo maggio, senza mai ottenere la dichiarazione di guerra da parte del Direttorio, dettando esiziali condizioni, tra le quali l’abdicazione della compagine di governo, così determinando il tracollo economico, sociale e, infine, politico della secolare Repubblica il 12 maggio 1797; dappoi dava vita ad un governo fittizio, “protetto” dalle baionette francesi, la Municipalità, rimasta sempre Provvisoria, anche per il tramite del quale continuò a perpetrare saccheggi, devastazioni, estorsioni, furti e delitti contro le persone;

Il trattato di Campoformido

ingannava sinanco i suoi correi municipalisti, poiché, dopo aver fraudolentemente promesso libertà ed indipendenza, attuò, prima con i preliminari di Leoben, del 17 aprile 1797, ed infine con il trattato di Campoformido, del 17 ottobre 1797, la cessione all’Austria del Veneto, sino all’Adige ed al Po, dell’Istria e della Dalmazia;

infine, ritornava dal 1806 al 1814 in veste di Imperatore dei francesi e, dopo aver instaurato il c.d. Regno d’Italia, compiva, per il tramite della propria vessante amministrazione, le ultime devastanti operazioni di ruberie, illegali requisizioni, reclutamenti forzati, folli tassazioni e le ultime stragi contro cittadini veneti insorti all’occupazione straniera. In particolare:

La devastazione dell’Arsenale di Venezia

  • 241 c.p., per aver commesso i fatti di cui sopra diretti a sottoporre il territorio della Veneta Repubblica alla sovranità di uno stato straniero e a menomarne per sempre l’indipendenza;
  • 253 e 428 c.p., per aver distrutto o reso inservibili navi, stabilimenti, depositi ed altre opere militari adibite al servizio delle forze armate venete in tutti i territori occupati e, in particolare, per aver devastato l’Arsenale di Venezia nel quale, tra il 16 maggio 1797 ed il 18 gennaio 1798, fu distrutto tutto ciò che non era asportabile, segando le chiglie delle navi, rompendo i puntelli che le mantenevano diritte sugli scali, affondando quelle ormeggiate nelle darsene con fori praticati nell’opera viva, distruggendo il 9 gennaio 1798 i due Peatoni Dogali, con l’appiccarvi il fuoco, ed il Bucintoro, rara opera d’arte nautica e scultorea, asportandovi e sminuzzandone tutti gli intagli per poi appiccarvi il fuoco nell’isola di San Giorgio, fuoco che perdurò tre giorni interi e le cui ceneri furono incassate, spedite ed a lui personalmente recapitate in Milano; per avere comunque cagionato il naufragio e la sommersione di numerose navi venete, tra le quali, oltre a quelle, testè citate, ormeggiate all’interno dell’Arsenale di Venezia, il vascello di primo rango Vittoria, affondato nel canale della Giudecca ove trovavasi alla fonda nel 1797;

L’illegale occupazione delle fortezze

  • 260 c.p., per aver introdotto clandestinamente o con l’inganno i proprii armati in luoghi in cui era vietato l’accesso nell’interesse militare dello Stato, come nelle fortezze illegalmente occupate di Crema, Brescia, Bergamo, Verona, Palmanova e Peschiera, dal maggio 1796 al maggio 1797, e come a Corfù, allorquando, con l’artifizio ed il raggiro consistito nel fare esporre il paviglione della Veneta Repubblica, già caduta, ai bastimenti della flotta d’occupazione inviata da Venezia, così ingannando il Provveditore Generale da Mar N.H. Carlo Aurelio Widman, introdusse con l’inganno le proprie forze armate occupando le possenti fortificazioni corfiote il 28 ed il 29 giugno del 1797; come ancora in Venezia, allorquando spinse il comandante di un legno armato, tale Laugier, a tentare di forzare clandestinamente il Porto di Venezia, all’altezza del Forte di Sant’Andrea, ancorché impedito dalla risoluta reazione della Pubblica Autorità rappresentata dal N.H. Domenico Pizzamano, comandante del Forte;

Eversione nei confronti dello Stato Veneto

  • 266, 272, 302 e 415 c.p., per avere istigato i militari veneti a disobbedire alle leggi ed a violare il giuramento dato ed i doveri della disciplina militare e per aver fatto ai suddetti militari apologia di fatti contrari alle leggi venete, al giuramento, alla disciplina ed agli altri doveri militari, con l’aggravante di essere avvenuto il fatto pubblicamente con il mezzo della stampa e con altri mezzi di propaganda e, in particolare, già dal febbraio del 1797 faceva giungere nei territori veneti giornali francesi con inviti all’eversione nei confronti dello Stato Veneto, come nel Moniteur del 27 febbraio; nella primavera del 1797 in Verona incitava la fanteria italiana e gli Schiavoni alla rivolta e ciò facendo con pubblici manifesti e pubbliche ingiunzioni, quali quelli emessi dal generale La Hoz il 27 e 28 aprile 1797 e diretti rispettivamente ai cittadini ed ai militari delle città e territori di Vicenza e Padova; e per avere, con i medesimi mezzi, fatto propaganda per il sovvertimento violento degli ordinamenti economici e sociali costituiti nella Veneta Repubblica e per la distruzione di ogni ordinamento politico e giuridico della società veneta e comunque istigato a commettere i precitati delitti e, pubblicamente, a disobbedire alle leggi di ordine pubblico;

Sobillazione politica e bande armate

  • 270, 305 e 306 c.p., per avere, in tutte le città del dominio veneto, a cominciare da Bergamo e Brescia, e nella stessa Dominante, promosso, costituito ed organizzato, anche per il tramite dell’opera segreta di spionaggio e sobillazione politica del generale Jean Landrieux, dirigente della polizia politica e del servizio segreto dell’Armata, associazioni dirette a sopprimere violentemente la classe di governo e comunque a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici e sociali costituiti nello Stato Veneto ed a sopprimere violentemente ogni ordinamento politico e giuridico della società; per essersi associato, con sodali e collaborazionisti locali, in qualità di promotore, costitutore ed organizzatore, al fine di commettere i delitti sin qui enucleati e per avere, al medesimo fine, formato bande armate; dal maggio del 1796 al maggio del 1797;

Insurrezione armata contro i poteri dello Stato

  • 282 c.p., per avere, dal maggio del 1796 al maggio del 1797, commesso tutti i fatti compresi nei presenti capi di imputazione per mutare la costituzione dello Stato e la forma di governo con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato;
  • 284 c.p., anche in relazione ai reati associativi di cui sopra, per avere promosso, ut supra, un’insurrezione armata contro i poteri dello Stato, a tal fine costituendo bande armate di briganti collaborazionisti, sorrette dalle truppe francesi, che attaccarono Salò, Bergamo, Brescia, Crema, Verona e Vicenza, le valli Trompia, Sabbia, Camonica e Seriana tra il marzo e l’aprile del 1797;

Devastazioni, saccheggi e stragi

  • 285 c.p., per avere, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commesso fatti diretti a portare la devastazione, il saccheggio e la strage nel territorio dello Stato Veneto, nel Bergamasco, Bresciano e Veronese, già dal luglio del 1796 e particolarmente nelle valli Seriana, Trompia, Sabbia e Camonica nell’aprile del 1797 ed in Verona nel medesimo mese d’aprile;
  • 286 c.p., per avere nei luoghi e tempi sin qui indicati, commesso i fatti suesposti per suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato Veneto;

L’abdicazione del Maggior Consiglio

  • 287 c.p., per avere usurpato i poteri politici dei legittimi rappresentanti del Veneto Stato in tutte le città occupate e, poi, nella stessa Venezia, con i modi e nei tempi sin qui enunciati, siccome a Bergamo, Brescia, e, particolarmente, a Crema, dove il podestà Giovanni Battista Contarini fu cacciato da duecento dragoni francesi del generale La Hoz similmente entrati in Vicenza; a Verona, dove i soldati del generale Balland, prima cannoneggiavano la città dai castelli della stessa e poi reprimevano nel sangue la sollevazione popolare; a Padova, dove il generale La Hoz piazzò i cannoni agli angoli delle strade; a Treviso, dove l’instaurarsi della Municipalità fu attuato con le truppe del generale Baraguey d’Hilliers alle porte della città; a Venezia, dove l’abdicazione del Maggior Consiglio fu ottenuta con lo schieramento dell’Armata sul limitare della laguna e con la minaccia di guerra ad uno Stato neutrale, dopo che, a Leoben, aveva già trattato la cessione e lo smembramento dei Veneti Territori;
  • 288 c.p., per avere nel territorio dello Stato e senza approvazione del governo veneto, arruolato ed armato cittadini perché militassero al servizio ed a favore dell’occupante francese, nei tempi e nei modi di cui sopra, soprattutto in relazione all’armamento di bande di nobili e borghesi bresciani e bergamaschi, come quelle ripetutamente sbaragliate dai cittadini fedeli alla Repubblica nel salodiano e nel veronese nel marzo-aprile del 1797;

Vilipendio della Nazione Veneta e del Leone di San Marco

  • 291 e 293 c.p., per avere sistematicamente vilipeso la nazione veneta, sino a negarne il diritto d’esistenza, e la bandiera veneta, dandola ovunque alle fiamme (come a Corfù ai primi di luglio del 1797) oltre ad aver vilipeso in ogni forma possibile l’emblema dello Stato Veneto, il Leone di San Marco, distrutto ed atterrato, ovvero fatto distruggere ed atterrare, ovunque, dal territorio veneto (a Verona, sin dal 25 aprile 1797) all’eptaneso veneziano;
  • 338 c.p., per avere usato sistematicamente violenza e minaccia ai Corpi politici, amministrativi e giudiziari della Repubblica ed alle loro rappresentanze per impedirne del tutto l’attività, delitto apicalmente perpetrato, pur perdurando lo stato di assoluta neutralità della Repubblica e l’assenza di uno stato di belligeranza con i gallici rivoluzionari, con le veementi minacce di guerra contenute nel dispaccio inviato da Judemburg il 9 aprile 1797; con quelle proferite verbalmente alle Eccellenze deputati Francesco Donà e Lunardo Zustinian, in Gradisca il 28 aprile 1797, consistite nell’affermare ho ottantamila uomini e venti barche cannoniere, io non voglio più Inquisizione, non voglio Senato, sarò un Attila per lo Stato Veneto (…) non voglio alleanze con Voi, non voglio progetti, voglio dar io la legge (…) il Governo (…) è vecchio, deve cessare; ed ancora con la dichiarazione dello stato di belligeranza, mai ratificata dal Direttorio al quale era formalmente riservata, del 1 maggio 1797, sulla base di quindici pretestuosi capi d’accusa rivolti alla Repubblica;

I saccheggi dei collaborazionisti

  • 407 c.p., per avere sistematicamente, nell’ambito del programma di saccheggio attuato prima e dopo il 12 maggio 1797, violato tombe, sepolcri ed urne nelle chiese, monasteri, conventi e cimiteri di tutto lo Stato, ciò aggravando e reiterando con l’editto del 1806 che costituiva cimiteri municipali, in tal modo portando a compimento la devastazione ed il furto ai danni dei sacelli di cui sopra;
  • 416 c.p., per avere, oltre a quanto previsto nel capo sub 5), promosso, costituito ed organizzato associazioni, con sodali e collaborazionisti, per commettere tutti i delitti compresi nei presenti capi di imputazione, con l’aggravante di avere gli associati scorso in armi le campagne e le pubbliche vie;

Impiccagioni, fucilazioni e incendi di paesi

  • 421 c.p., per avere sistematicamente minacciato di commettere delitti contro la pubblica incolumità e fatti di devastazione e di saccheggio, come specificato nel capo sub 12) e come avvenuto in tutta la terraferma veneta ed, in particolare, nelle valli Sabbia, Trompia, Seriana e Camonica (con proclami a stampa che minacciavano impiccagioni ed incendi di paesi) nel marzo-aprile 1797, in Verona per ottenere la c.d. capitolazione della città il 24 e 25 aprile 1797 ed in Vicenza per sedare le insurrezioni del 1805 e del 1809;
  • 422 c.p., per avere ripetutamente compiuto, al fine di uccidere, atti di strage , ovverossia tali da porre in pericolo la pubblica incolumità, derivandone la morte di più persone, e, in particolare, nell’aprile del 1797 nelle valli Sabbia, Trompia, Seriana e Camonica, soffocando nel sangue con impiccagioni, fucilazioni ed incendi di abitazioni la rivolta dei valligiani insorti contro le requisizioni, le vessazioni, i saccheggi, gli stupri e le violenze d’ogni tipo; il 17 aprile 1797 in Verona, cannoneggiando barbaramente la città dal Castello di San Pietro così cagionando la morte di alcuni abitanti; successivamente al 25 aprile 1797 in Verona, con la sanguinosa repressione delle “Pasque Veronesi” e nella notte del 3 novembre 1805 in Vicenza, cannoneggiando inutilmente la città contro l’esercito austriaco in fuga così cagionando la morte di due cittadini;
  • 423 c.p., per avere cagionato sistematicamente incendi, nelle circostanze di cui sopra, particolarmente nelle circostanze di cui al capo 16) ed al capo 2) quest’ultimo in relazione alla sorte del glorioso Bucintoro;

La morte di migliaia di veneti

  • 575 c.p., per avere cagionato la morte di migliaia di veneti, sia durante i fatti del 1796/97, sia per mano delle corree Municipalità, sia quale imperatore dei francesi e responsabile del c.d. Regno d’Italia; tra gli innumerevoli omicidi, quelli seguiti alla repressione dell’insorgenza della Val Sabbia, del Salodiano e della Riviera quali, tra i tanti, quelli di Lorenzo Bonetti ed Angelo Scalmana di Vobarno, uccisi sul monte Cingolo, Giuseppe Tiboni, a Pompegnano, Giorgio Rizzardini, infermo, ucciso a Clibbio, poi decapitato e gettato dalla finestra col capo mozzo, nell’aprile del 1797, don Giuseppe Cattazzi, parroco di Vobarno, fucilato il 30 maggio 1797 a Salò dove operava un criminale, sedicente, Tribunale di guerra, ed ancora, nel medesimo tempo, don Antonio Usbli, parroco di Gardone, Antonio Abati o Albani, buono e ricco signore di Gavardo, Giovanni Speciali di Manerba, Marcantonio Turrini di Teglie, sindaco di Vobarno, Giacomo Peli detto Pizzaguerra, il milanese Carlo Corio, cavalleggero del veneto esercito (reo di essere entrato alla testa di numerosa truppa in Palazzolo con sciabola nuda in mano gridando Viva San Marco) ed altri; quelli seguiti alla repressione delle insorgenze c.d. delle Pasque Veronesi, quali, tra i tanti, quelli di padre Malenza, fucilato a San Martino poco prima della resa di Verona, del valorosissimo e mai sufficientemente lodato conte Francesco Emilei, provveditore reo di aver difeso la Patria Veneta alla testa delle sue milizie Italiane e Schiavone, del conte Augusto Verità, del giovane appartenente alle cernide Giovanni Battista Malenza, fratello del sopracitato religioso, il 16 maggio 1797 (il medesimo giorno dell’irruzione delle truppe di Baraguey d’Hilliers in Venezia) del parrucchiere Stefano Lanzetta, del calzettaio Pietro Sauro, del cavatore di pietre Andrea Pomari, dal sobborgo di Avesa, dell’oste Agostino Bianchi, dell’anziano cappuccino padre Luigi Maria da Verona (al secolo Domenico Frangini, reo di aver denunciato in una lettera il saccheggio dei francesi nel borgo Santa Lucia) tra l’8 ed il 18 giugno 1797; quelli seguiti alle repressioni dei moti di Vicenza succedutisi tra il 1809 ed il 1811, quali quelli, tra i centinaia di uccisi, per ghigliottina, di Giuseppe Meneghini settantaduenne di Arsiero, il 26 luglio 1809, di Giuseppe Beretta trentaquattrenne padre di famiglia di Schio il 28 luglio 1809, Giovanbattista Andrioli ventottenne di Sovizzo il 27 luglio 1809, don Giuseppe Marini ventinovenne di Carrè ed Pietro Nicoletti trentanovenne di Ospedaletto Valsugana il 14 agosto 1809, Antoni Luchini quarantasettenne padre di otto figli di S. Orso, Gaetano Lazzarini ventunenne di Arquà e Paolo Maffron ventiduenne di Tribano il 24 agosto 1809, Michele Rovere ventiduenne di Nanto e Gerolamo Guerra ventenne di Tribano il 26 agosto 1809, Giovanni Marini quarantaduenne di Ospedaletto e Pasquale Bellotto ventitreenne di Tramonti il 30 agosto 1809 e Pietro Smaniotto ventisettenne di Torreglia il 3 settembre 1809; per aver poi, introducendo la coscrizione obbligatoria in tutti i territori della ex Repubblica, condotto, tra il 1806 ed il 1814, migliaia di veneti, lombardi, friulani, istriani e dalmati a morire nei campi di battaglia di tutta Europa, sino alla disastrosa battaglia della Beresina, per uno Stato straniero ed un principe che avevano prima devastato ed atterrato la loro Patria e poi smembrato e ceduto buona parte della medesima all’Austria, così conculcandone per sempre l’indipendenza;

L’arresto di cittadini colpevoli solo di aver difeso la Patria

  • 605 e 630 c.p., per avere effettuato od imposto l’arresto e la detenzione illegale di migliaia di cittadini e soldati veneti, colpevoli unicamente di aver difeso la veneta Patria; in apicibus si ricordano i tre Inquisitori di Stato, i NN.HH. Agostino Barbarigo, Angelo Maria Gabriel e Cattarin Corner, ed il comandante del Forte di Sant’Andrea il N.H. Domenico Pizzamano, arrestati il 4 maggio 1797 (per ordine dell’imputato, il quale minacciava orrende conseguenze in caso di non ottemperanza alla richiesta) e posti in libertà l’8 ottobre, i primi, ed il 23 ottobre, il secondo; nel caso degli Inquisitori, poi, il sequestro proseguì allo,scopo di ottenere ingiusto profitto quale prezzo della liberazione, posto che furono costretti, per ottenere la libertà, a cedere metà dell’intero loro patrimonio;

Pena di morte a chi griderà Viva San Marco

  • 610 e 612 c.p., per avere costretto, a fronte di violenze e minacce d’ogni sorta, le Autorità Venete di tutto lo Stato ed i privati cittadini del medesimo a fare, tollerare od omettere qualsivoglia attività o prestazione a piacimento dell’imputato e della sua truppa di occupazione e per aver minacciato i medesimi soggetti passivi ingiusti mali d’ogni tipologia e specie, come anche risulta dalla congerie dei qui esposti capi di imputazione; nei territori della Repubblica, dal maggio del 1796 al gennaio del 1798; a titolo di esempio, basti qui ricordare il provvedimento del correo Comitato di Salute pubblica, con relatore il “cittadino” Giuliani, uno dei più grandi criminali della Municipalità, che comminava la pena di morte a chiunque griderà viva san Marco ed a chiunque diffonderà stemmi di san Marco;
  • 614 c.p., per avere, con o per il tramite dei soliti correi, sistematicamente violato il domicilio dei soggetti passivi di cui al precedente capo, introducendosi nelle abitazioni altrui ed in altri luoghi di privata dimora contro la volontà espressa o tacita dei titolari del diritto di esclusione, ovvero ivi introducendosi clandestinamente o con l’inganno; come nel caso del generale Baraguay d’Hilliers che, dopo il 16 maggio 1797, elesse a propria dimora il palazzo Pisani di San Stefano, uno dei più sontuosi di Venezia;

Depredati immensi patrimoni pubblici e privati

23) artt. 624, 624 bis, 625, nn. 2, 3, 5, 7, 8 e 61, n.7, 628 e 629 c.p., per essersi, al fine di trarre profitto, con ogni mezzo impossessato di cose mobili altrui sottraendole ai legittimi detentori; per avere, nella maggior parte dei casi, compiuto lo spossessamento testè citato con minacce o violenze alle persone; per avere altrettanto frequentemente ottenuto lo spossessamento altrui con consegne forzate quali conseguenze di violenza o minaccia derivante dall’uso delle armi o dall’esercizio di poteri usurpati alla legittima Autorità, in tal modo depredando immensi patrimonii pubblici e privati; l’elenco delle cose sottratte per l’appunto con furti, rapine ed estorsioni è quasi senza fine e molto è stato pubblicato; si richiama a tal fine, quale parte integrante del presente capo di imputazione, quanto descritto ed analiticamente documentato nell’opera Venezia scomparsa del N.H. Alvise Zorzi; a titolo puramente esemplificativo ed indicativo, preme qui ricordare la completa spoliazione dell’ apparato militare:

La flotta militare della Repubblica

l’imputato si è violentemente impossessato dell’intera flotta militare della Repubblica, ancora forte di:

  • 10 vascelli di linea da 70 cannoni
  • 11 vascelli di linea da 66 cannoni
  • 1 vascello di linea da 55 cannoni
  • 13 fregate da 42 e 44 cannoni
  • 2 fregate da 32 cannoni
  • 3 brick da 10 cannoni
  • 2 cotter da 10 cannoni
  • 1 goletta da 16 cannoni
  • 1 bombarda da 5 cannoni
  • 16 cannoniere con un pezzo da 40 e 4 da 6
  • 31 obusiere con 2 obici da 40 e 4 pezzi da 6
  • 10 galleggianti con 2 cannoni da 30
  • 1 batteria galleggiante con 7 pezzi da 50 sul perno
  • 40 passi armati con un pezzo da 20 e 4 da6
  • 23 galere
  • 7 galeotte da 30 a 40 remi
  • 7 sciambecchi
  • 5 feluche

per un totale di 184 legni da guerra. Di essi, piace qui ricordare i bastimenti varati nell’Arsenale di Venezia, rapinati od estorti dall’imputato e suoi correi dopo il 16 maggio 1797, i vascelli di primo rango Eolo, San Giorgio, Vulcano e Medea, il vascello di secondo rango Fama, le fregate leggere Palma, Bellona, Medusa e Cerere e la fregata grossa Gloria Veneta. Questa la vera e propria flotta.

Ma solamente a difesa della laguna di Venezia vi erano 37 legni tra galere, sciambecchi, galeotte e feluche ed oltre 168 tra barche, cannoniere, obusiere, passi galleggianti, bragozzi e piedighi, per un totale di ben 205 imbarcazioni da difesa.

Inoltre, l’occupante trafugò, varandoli o finendo di allestirli, i seguenti legni veneziani costruiti dalla Repubblica in Arsenale, da subito gallicamente battezzati:

  • vascello di 1° rango La Harpe,
  • vascelli di 2° rango Stingel e Beraud

 fregate Carrier e Muiron.

Rubati all’Arsenale 5293 cannoni

Dalle vecchie sale d’armi dell’Arsenale furono asportate armi sufficienti per 20.000 uomini. Dalle nuove sale d’armi furono asportati fucili, archibugi, pistole, con relativo munizionamento, ed armi bianche sufficienti per armare 30.000 uomini.

Dal Reparto d’Artiglieria furono asportate 5293 bocche da fuoco, delle quali 2518 in bronzo ed il rimanente in ferro. Altre migliaia di bocche da fuoco furono asportate in tutta la Repubblica, da ogni fortezza, castello e città (si pensi che nella sola laguna di Venezia erano operativi altri 750 pezzi d’artiglieria, tra colombine, cannoni, falconetti, petriere ed obusiere e che le truppe francesi sbarcarono anche nelle munitissime fortezze delle isole ionie, da Corfù a Cerigo, da Zante a Cefalonia).

Rubato il munizionamento per l’artiglieria

Dal Parco delle Bombarde ( detto il Giardin di Ferro) fu asportata l’intera raccolta di munizionamento per l’artiglieria.

Furono trafugati pece, sevo, fanali, cavi, sartiami, vele, telame, ferramenta, legno frassino e faggio, chiodi, remi, ancore, catene per ostruzione porti, stoppa, balle di canape, carbone, strumenti nautici, raffineria e magazzini salnitro, fonderia piombo, paranchi, officina di falegnameria, modelli navali (molti oggi al Musée de Marine di Parigi), oltre a sartiami, alberi, pennoni, cannoni e proiettili per allestire ed armare 12 vascelli da 74 cannoni. Furono persino asportati gli enormi calderoni per l’ebollizione della pece.

La cassaforte dell’Arsenale fu sfondata e vuotata.

Più di duemila fucili erano già stati estorti, nel veronese e nella Lombardia veneta, sin dal maggio del 1796.

L’esercito veneto disarmato

Tutto l’esercito veneto fu disarmato e l’imputato si impossessò dei relativi armamenti; viveri e sostentamento dell’esercito occupante.

 Sin dal maggio del 1796 le requisizioni e le richieste estorsive di approvvigionamenti furono enormi. Per avere un’idea basti pensare che già dal luglio 1796 la città di Verona dovette provvedere ad ingentissime quantità di farine ed acquaviti, centoventimila razioni di biscotto, tre-quattrocento bovi, carri e cavalli da fornirsi in due giorni.

A questo ritmo vertiginoso, l’esercito francese fu mantenuto fino al gennaio del 1798;

Le opere d’arte trafugate

Immenso è il numero delle opere d’arte di grande qualità trafugate dai territori della Repubblica.

Dopo il 25 aprile del 1797 a Verona furono asportati dipinti, argenti, bronzi, manoscritti ed incunaboli e così avvenne in tutte le città dello Stato Veneto.

Basti pensare che, nel c.d. “trattato di pace” che l’imputato stilò con l’ “amica” Municipalità veneziana il 16 maggio 1797, tra gli articoli segreti ve ne era uno che riservava all’imputato la scelta discrezionale di venti dipinti e cinquecento manoscritti.

Trafugati furono il Tesoro di San Marco, Le Nozze di Cana di Paolo Veronese, quasi tutti i dipinti e gli arredi religiosi di centosessanta chiese veneziane, migliaia di oggetti in argento, metallo o legno di rilevante valore artistico, migliaia di dipinti ed oggetti d’arte delle scuole veneziane. Moltissimi, poi, tra i pezzi di artiglieria dell’Arsenale erano, invero, delle magnifiche opere d’arte, delle quali si è perduta ogni traccia;

Rubati alla Zecca quaranta milioni di ducati d’oro

Dalla Zecca Veneta fu sottratta l’enorme somma di oltre quaranta milioni di lire venete in oro, sotto forma di zecchini o di monete.

Vittorio Bazzoni ha calcolato che l’importo delle spoliazioni francesi in Venezia nel 1797 può essere comunque valutato nella cifra astronomica di 40 milioni di ducati.

Danni incalcolabili al patrimonio veneto

  • 633 c.p., per avere sistematicamente praticato l’invasione arbitraria di terreni e di edifici altrui, tanto pubblici che privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, con l’aggravante di essere stato il fatto commesso da più di cinque persone palesemente armate; nei tempi, nei luoghi e nei modi sin qui indicati;

Solo a Venezia distrutte 92 chiese e 30 monasteri

  • 635 c.p., per avere sistematicamente praticato il danneggiamento, distruggendo, disperdendo, deteriorando ovvero rendendo in tutto od in parte inservibili le cose mobili ed immobili altrui; come per i capi sub 14) e 23), l’elenco degli incalcolabili danni subiti dal patrimonio veneto è pressoché infinito ed anche qui, per la sola Venezia ed a titolo meramente esemplificativo, si rinvia all’opera del N.H. Alvise Zorzi sopra citata; si vuol sommariamente ricordare il devastante saccheggio posto in essere nell’Arsenale di Venezia dal 26 dicembre 1797 al 18 gennaio 1798, attuato come specificato sub capo 2); basti pensare che nell’Arsenale furono distrutte persino le sontuose decorazioni stucchive che abbellivano la sala dei modelli nautici; furono atterrati migliaia di leoni di San Marco in tutti i luoghi   calpestati dagli armati dell’imputato (comprese le isole ionie) alcuni dei quali costituivano vere e proprie opere d’arte (si pensi a tutte le rappresentazioni del San Marco in forma di lion di Piazza San Marco); furono distrutte tutte le insegne ducali; furono danneggiati o distrutti, nella sola Venezia, 92 chiese cittadine (si pensi alle stupende chiese di San Geminiano, opera del Sansovino, dei Servi, magnifica cattedrale gotica, di Sant’Antonio di Castello, la chiesa dei marinai della Repubblica, e così via) e 15 nelle isole, 30 monasteri, 4 oratori, 5 ospitali e ben 103 Scuole d’arte o di devozione; incalcolabili, inoltre, tutti i danni apportati all’intero Stato Veneto, sin dall’ingresso delle truppe nel maggio del 1796;

L’inganno allo Stato neutrale e la spoliazione

  • 640 e 61 n. 7 c.p., per avere sistematicamente e metodologicamente truffato i propri interlocutori giacché, dapprima, con artifizi e raggiri consistiti nell’assicurare costantemente il veneto governo della più assoluta neutralità e della volontà di rispetto dei diritti della Serenissima e nell’approntare un apparato esteriore che rendesse credibile tale menzognera impostazione induceva in errore i governanti veneti sulle proprie reali intenzioni, compromettendo inesorabilmente l’adozione tempestiva di provvidenze difensive, così procurandosi l’ingiusto profitto dell’enorme arricchimento economico che ne seguì, con l’immenso corrispettivo danno economico dei Veneziani oltre all’incalcolabile perdita del proprio Stato; dappoi, con gli artifizi e raggiri consistiti nel costituire un fittizio Stato democratico e rivoluzionario, asseritamente indipendente, e nell’approntare a tal fine un complesso apparato scenico ed amministrativo, induceva in errore sulle proprie reali intenzioni i rappresentanti della Municipalità democratica di Venezia, procurandosene consenso e collaborazione, così procurandosi l’ingiusto profitto della definitiva spoliazione economica di Venezia e degli acquisti territoriali, con corrispondente immenso danno alle persone offese oltre alla perdita dell’indipendenza, poiché li vendette all’Austria con il trattato di Campoformido dell’ottobre del 1797;

Le ignobili razzie nelle case dei condannati a morte

  • 646 c.p., per essersi, nei tempi, luoghi e modi di cui sopra indebitamente appropriato le cose mobili altrui di cui per accidente ebbe lo sciagurato possesso;
  • 648 c.p., per avere ricevuto o comunque occultato migliaia di cose mobili provenienti dai delitti sopra specificati, nei rari casi in cui di tali delitti non potesse essere ritenuto responsabile (come, ad esempio, nel caso dell’ignobile razzia compiuta nelle case dei condannati a morte di Verona, Francesco Emilei, Augusto Verità e Giobatta Malenza, successivamente ai barbari omicidi, parte del cui bottino gli fu personalmente recapitata; il delitto di ricettazione, infine, può considerarsi perpetrato in concorso con la Nazione Francese, che ancor oggi trattiene, presso i propri musei, un immenso patrimonio, frutto dei delitti perpetrati dall’imputato nei tempi, luoghi e modi qui complessivamente indicati e specificati. Individuate le persone offese in: Popolo Veneto dello Stato da Tera e dello Stato da Mar, in tutte le sue articolazioni territoriali ed istituzionali

Dispongono

La citazione dell’imputato avanti la Veneta Corte al Criminal

In Venezia, Ca’ Corner della Ca’ Granda,

alle ore 10.00 del 12 aprile 2003, per rispondere dei reati di cui sopra.

L’imputato starà comunque validamente in giudizio con il ministero dei già nominati difensori, gli Illustrissimi signori Avvocati Vito Quaranta e Christian Serpelloni, del Foro Veneto, i quali pure s’intendono citati a comparire nelli medesimi luogo et tempo ut supra individuati.

Il fascicolo relativo alle indagini è costituito dalla copiosa bibliografia esistente in materia, parte della quale si indicherà specificamente alla prima udienza quale prova documentale.

Dato dall’Avogaria di Comun li 11. marzo 2003

Iseppo Frigo Avogador di Comun                     Lorenzo Fogliata Avogador di Comun

 

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