27 Luglio 2024
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Stelutis alpinis, la canzone più bella che l’Italia volle stravolgere perché “manca la Patria”

Chi non conosce e non ama Stelutis alpinis? Chi non si è commosso all’udire le note e le parole in lingua friulana della più bella, la più commovente, la più rassegnata, la più disperata canzone contro le inutili morti della guerra che la Grande guerra ci abbia lasciato?

Stelutis alpinis, la canzone più amata

Della canzone Stelutis alpinis esiste anche una versione in lingua italiana, una libera traduzione composta dal grande Francesco De Gregori, che ne colse tutta la potenza di canzone contro la guerra (CLICCA QUI per ascoltare la Stelutis alpinis di De Gregori).

Stelutis alpinis, la lapide ad Arturo Zardini in Firenze. Foto di Sailko, licenza CC

Ma la canzone originale, in lingua friulana, la scrisse e musicò, nel 1917, un friulano di Pontebba, Arturo Zardini, mentre era profugo a Firenze. E sin dalla sua prima esecuzione, avvenuta già nel 1918, Stelutis alpinis in lingua friulana è diventata, più ancora della celebre “Signore delle cime”, la canzone alpina più amata, la più aderente all’animo roccioso, montanaro, carnico del Friuli. L’animo degli uomini che obbediscono agli ordini, che affrontano la sofferenza e vanno a morire senza un lamento, senza odio, senza rancore, senza recriminazioni, senza chiedere perché. Il vero Inno dei friulani, come dice la lapide posta a Firenze dal Fogolar Furlan.

Arturo Zardini è un compositore che ha scritto tante altre bellissime canzoni in friulano. Ma Stelutis alpinis è un capolavoro che da solo basta a fare di lui una figura straordinaria, un grande poeta che ha saputo dare voce al carattere del popolo friulano finito nella tragedia dell’inutile guerra.

Versi bellissimi ma “senza Patria”

Eppure, anche Stelutis alpinis ha una storia nascosta, poco nota, che racconta del tentativo, parzialmente riuscito, di snaturare la canzone, di stravolgerla facendole dire quello che l’Autore non volle dire. Il tentativo dell’Italia di trasformarla in una canzone patriottica. Perché i versi di Stelutis alpinis sono sì bellissimi ma “senza accenno alla Patria“.

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E’ una storia che vale la pena di essere raccontata, perché ci dice come funzionò e come funziona, ancora oggi, la propaganda bugiarda sulla Grande Guerra.

Il testo autografo di Arturo Zardini

Partiamo dal testo autografo di Arturo Zardini:

Se tu vens cassù ta’ cretis
à che lôr mi àn soterât,

al è un splaz plen di stelutis,

dal miò sanc l’è stât bagnât

Par segnâl, une crosute
je scolpide lì tal cret,
fra chês stelis nas l’arbute,
sot di lôr, jo duâr cujet.

Cjôl sù, cjôl une stelute:
jê ‘a ricuarde il nestri ben.
Tu j darâs ‘ne bussadute
e po’ plàtile tal sen.

 Quant che a cjase tu sês sole
e di cûr tu préis par me,
il miò spirt atôr ti svole:
jo e la stele sin cun te.

Proviamo – indegnamente – una traduzione letterale: “Se tu vieni qui tra le rocce dove mi hanno sotterrato, c’è uno spiazzo pieno di stelle alpine, del mio sangue è stato bagnato. Una piccola croce, come segno, è scolpita nel sasso, fra le stelle nasce l’erbetta, lì sotto di loro io dormo quieto. Cogli su, cogli una stella alpina, ricordo del nostro bene. Le darai un bacio e poi tienila sul tuo seno. Quando a casa tu sei sola e di cuore preghi per me, il mio spirito attorno ti vola: io e la stella siamo con te”.

Non una parola sull’Italia, Stelutis è una preghiera

Arturo Zardini, autore di Stelutis alpinis

Non vi è, in questo capolavoro in friulano, una parola sull’Italia, non vi è cenno all’eroismo, alla guerra benedetta, alla Grande guerra come conclusione del Risorgimento, alla vita gioiosamente immolata per la Patria e per le Terre Irredente. Stelutis alpinis non è un canto patriottico. E’ una preghiera.

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In quei versi rocciosi campeggia solo la morte e l’amore, cuore della vita rubata. Tutto il significato della canzone, la sua immortale grandezza, e ciò che stringe il cuore ascoltandola, sta precisamente in questo, nel cantare il grande vuoto, nell’assenza di una spiegazione, di un senso a quella morte. E in questo sta anche il valore politico della canzone, inno all’inutile strage che fu la Grande guerra, secondo le parole del Papa di allora, Benedetto XV, rivolte proprio nel 1917 in un appello alle Potenze Belligeranti che dovrebbe essere insegnato nelle scuole.

Il colonnello e il cimitero di guerra a Timau

Ebbene, nel 1921 – poco tempo dopo la prima esecuzione di Stelutis alpinis – il colonello Vincenzo Paladini, friulano di Udine, responsabile del cimitero di guerra di Timau, vuole far incidere la canzone, già amatissima tra gli alpini soprattutto in Friuli, su una lapide nel sacrario.

E’ la stagione in cui la propaganda sulla Grande Guerra dispiega tutta la sua forza, e il colonnello comprende bene la potenza della canzone di Zardini. Ma ahimé, vede anche che non è una canzone patriottica. E allora prende carta e penna, e scrive, da friulano, al friulano Zardini.

La lettera del colonnello: manca la Patria!

La lettera è del 29 luglio 1921. Il colonnello Paladini scrive: “Illustre Signore, essendomi caduta sott’occhio la sua bellissima poesia “Stelutis alpinis”, avrei pensato di farla incidere su di una lapide per adornare uno dei nostri cimiteri di guerra in Carnia. Ma a ciò manca nelle mirabili strofe, così piene di sentimento, un accenno alla Patria, che le farebbe più appropriate alle tombe di soldati morti per essa. E’ ardimento soverchio il mio, senza che abbia nemmeno l’onore di conoscerLa di persona, di pregarLa a voler mutare quanto basti perché corrispondano allo scopo?”.

Il colonnello, insomma, chiede all’autore di Stelutis alpinis di correggere i suoi versi, che sono sì mirabili e pieni di sentimento, ma vi “manca un accenno alla Patria“, che dunque è necessario aggiungere.

Stelutis alpinis, la lettera del colonnello ad Arturo Zardini con l’invito a modificare in senso patriottico il testo della canzone (per gentile concessione di Giuliano Rui, nipote di Zardini)

Il rifiuto di Arturo Zardini

Va ad ulteriore onore di Arturo Zardini il rifiuto di cambiare i versi della sua canzone. Il rifiuto di accogliere l’ìnvito a darle un significato patriottico, e quindi di allinearla alla propaganda sabauda, tasformando la morte priva di perché, cantata in quegli splendidi versi, nella “bella morte” di D’Annunzio, nell’eroico e persino lieto immolarsi per “restituire” Trento e Trieste all’Italia.

Ma voi pensate che l’Italia, di fronte al rifiuto dell’Autore di mutare il senso della propria opera, si sia rassegnata? Ma nemmeno per sogno. Troppo famosa ormai la canzone, troppo amata in Friuli, troppo amata dagli Alpini. Considerata ormai sacra, ai raduni gli Alpini ascoltandola si alzavano il piedi e si toglievano il cappello. Come si potevano lasciare intatti quei versi bellissimi ma “senza Patria“?

Le strofe aggiunte

Sotto la pressione del colonnello e di altre Autorità militari, un compaesano amico e collaboratore di Zardini, Francesco Bierti, insistette con l’Autore perché cambiasse la sua canzone.  Zardini rifiutò di cambiare una sola virgola al suo testo, ma dovette sopportare, ormai poco prima della propria morte, l’aggiunta di due strofe, scritte dal Berti. Eccole:

Ma une dì quant che la uere
a sarà un lontan ricuart,
nel to cûr dulà che al ere
stele e amôr, dut sarà muart.

Pensarà par mè che stele
che il gno sanc al à nudrît,
par che lusi, simpri biele,
su l’Italie, al infinît.

Proviamo a tradurre: “Ma un dì, quando la guerra sarà un lontano ricordo, nel tuo cuore dove c’erano la stella e l’amore, tutto sarà morto. Resterà per me quella stella alpina, che il mio sangue ha nutrito, perché splenda, sempre bella, sull’Italia, all’infinito”.

La canzone stravolta per propaganda

Sono versi che fanno a pugni con la canzone di Zardini, che la stravolgono, che le tolgono il significato profondo, che pretendono di dare un senso patriottico a quella morte senza senso. Versi che tradiscono e stravolgono la verità di quel capolavoro, nel nome della propaganda italiana sulla Grande Guerra.

Lo sdegno della vedova Elisa

Perfino al funerale del povero Zardini, morto nel gennaio 1923, venne predisposto un cartoncino che riportava il testo di Stelutis alpinis, con l’aggiunta dei versi traditori. Fu lo sdegno della vedova, la signora Elisa, a bloccare la diffusione dell’insulto.

Ma non bastò, negli anni, l’impegno della vedova e poi dei nipoti di Zardini, che continua tuttora, a tutelare completamente la rocciosa integrità dell’opera del nonno. Ancora oggi si trovano libri, riviste, siti internet, persino registrazioni di cori alpini, in Italia e nel mondo, che riportano e ripetono la bugiarda versione “patriottica” di Stelutis alpinis, con le due strofe apocrife che stravolgono la canzone, strofe aggiunte per le esigenze della propaganda italiana sulla Grande Guerra.

La versione del colonnello

Stelutis alpinis fu incisa dunque nel marmo di Timau, come voleva il colonnello, che non mancò di ringraziare Zardini. Perché la versione di Stelutis alpinis incisa nella stele a Timau non fu la canzone di Zardini, non fu la poetica denuncia delle inutili morti dell’inutile guerra, ma la versione voluta dal colonnello, la canzone patriottica che sul crogiuolo di quelle morti fonda e legittima l’Italia.

Timau, il tempio ossario della Grande guerra. Foto di Laky 1970, licenza CC

Ancora oggi, purtroppo, quella targa con versi apocrifi e traditori dell’opera di Arturo Zardini fa bella mostra di sè nel Tempio di Timau.

La canzone Stelutis alpinis è lì, nella zona sacra ai Caduti: incise nel marmo le quattro strofe originali, ahimé tradotte in italiano (e anche questo si poteva evitare, perché la canzone viene cantata in friulano in Italia e nel mondo: perfino una corale giapponese ha in repertorio Stelutis alpinis in friulano) e accompagnate dalle due strofe patriottiche, apocrife e traditrici dell’opera di Arturo Zardini.

Timau. La targa con le strofe apocrife di Stelutis alpinis nel tempio ossario

Oggi, più di cent’anni dopo i fatti che vi abbiamo raccontato, si diffonde sempre più la versione originale di Stelutis alpinis, che è di sole quattro strofe e non fa cenno alla Patria né all’Italia. Ma se per caso vi capitasse ancora di ascoltare, in qualche raduno alpino, anche le due strofe traditrici, aggiunte alla canzone per volere delle autorità militari, ecco, fate una cortesia alla verità.

Rimettetevi il cappello.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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