Gigi Tomaz (1931-2016), esule da Cherso, sindaco di Chioggia e consigliere regionale del Veneto, nel suo “Dalla parte del Leone” ci racconta, a pagina 73, quanto accadde a Cherso:

“Cherso non era Verona se non nel sentimento del popolo … non c’erano foresti oppressori da eliminare ma c’erano dei soldati arrivati in barca da rispedire al porto di partenza prima che sbarcassero.”
Ammainare la bandiera del Leone? Mai
“Un capitano della esigua marina austriaca, che aveva sede nei porti, da sempre imperiali, di Trieste e Fiume, Giorgio Luchich o Luksich, il 12 giugno arriva da Fiume… Ormeggia la nave nella rada e, con una lancia, si fa portare verso il porto.
L’ufficiale di Sua Maestà Imperiale trova il popolo chersino in piena rivolta contro la decisione del Conte Capitano veneziano Ottavian Bembo di ammainare le bandiere del Leone alato e di issare le bandiere bianche di amichevole accoglienza. I nobili, accusati dal popolo di aver trescato col nemico, paventando il peggio, sono già fuggiti a Veglia, a Segna e, i più coraggiosi, nel convento dei frati francescani fuori le mura… Il Capitano imperiale è un uomo accorto e sa il fatto suo… Con grande compostezza, ma anche con crescente velocità, se ne torna alla nave lontana.

La bandiera della Serenissima sulla torre
Il popolo issa sulla fortezza che è la torre più alta e grossa all’angolo Nord-Ovest della mura, sopra il colle più alto, il gonfalone della Repubblica Serenissima che non esiste più. Nei giorni 12,13,14 e 15 giugno 1797 il Leone alato ricamato d’oro sul rosso vessillo di San Marco, torna a garrire ancora sulla fortezza di Cherso nel mezzo del Golfo del Quarnaro, issato dal popolo in rivolta contro la violenza della Storia, non per conquistare dei diritti ma per conservare quelli che già possiede da sempre.
Le campane suonano a martello e donne corrono per calli e contrade incitando gli uomini alle armi. La vecchia soprannominata Pauh, piccola e grinzosa ma ancora arzilla, il 13 giugno festa di S. Antonio da Padova, festeggiato solennemente a Cherso, grida correndo che le donne devono prendere i lunghi fusi di ferro con cui filano la lana, e gli uomini le scuri con cui tagliano la legna, perché sono arrivatì “gli Imperiali”, i nemici di sempre, dell’altra parte del Quarnaro..

Il Conte (il N.H. Ottavian Bembo nda), che ormai è comunemente chiamato Comandante, grida che la bandiera di San Marco al vento non può non essere interpretata dagli Imperiali come dichiarazione di guerra o comunque come intenzione di resistere ad oltranza, ma gli agitati gli rispondono che prima di ammainarla sono pronti a scannare lui e a bere il suo sangue. Sono frasi di esaltazione in un momento di assoluta passionalità: O San Marco o morte!”
Ho inserito questa testimonianza così significativa nella parte dedicata all’Istria e alle isole del golfo del Quarnaro del mio “1797:la Serenissima e l’occupazione napoleonica”.
Ettore Beggiato








